LE ROSE FIORISCONO AD ARRAS

Versione 2018 - 2019 - 2025

Parte Quinta

Quando scrissi questa mia prima ff avevo si e no 13 o 14 anni. All'epoca mi ero da poco addentrata nel "meraviglioso mondo di Lady Oscar" e, pur non avendo letto ancora il manga (secondo me indispensabile per una totale comprensione della storia), mi sono lanciata a scrivere questa storia per la quale, nel tempo, ho iniziato ad avere un certo imbarazzo. Sia chiaro, per l'epoca e per la mia giovane età di allora, non era poi così male ma, nel corso degli anni, potendo conoscere meglio la storia e, in aggiunta, arricchendo il mio bagaglio di esperienze personali, ho capito che questa FF, così com'era, andava assolutamente cambiata. Non soltanto per alcuni errori di forma del testo in sé o di contenuto, quanto piuttosto nella presenza di quelli che mi piace definire "cliché" tipici sulle FF dedicate a Lady Oscar, Oscar e André in particolare, che proprio non riesco a sopportare (per esempio quando vengono descritti come quando vengono loro associati dei comportamenti  o delle frasi da giovani adolescenti). Cancellarla completamente come se non fosse mai stata scritta mi sembrava onestamente brutto, visto che comunque era frutto di un lavoro testuale che mi aveva dato all'epoca grande impegno. Da qui la decisione di una nuova versione, che mantiene più o meno inalterato il plot ma che si sviluppa in modo diverso, più corretto e consono in riferimento soprattutto a quello che secondo me è il modo di agire di due persone adulte di trent'anni, in un certo contesto e attraverso il loro modo di essere che ho imparato a conoscere dopo aver letto il manga e visto l'anime innumerevoli volte. 
Vi anticipo inoltre che stessa sorte subiranno tutte le altre fanfictions da me scritte pubblicate su questo sito, ad eccezione di "Una Vita", realizzata in tempi più recenti. Almeno, spero di trovare il tempo e l'inventiva necessaria a migliorare quello che necessita di essere migliorato riuscendo però a mantenere la stessa trama.
Vi lascio pertanto alla lettura, sperando che vi piaccia, nella consapevolezza di non consegnarvi certo un capolavoro di scrittura ma qualche momento per sognare un po'. Buona lettura.

 

**

 

 

Maggio è uno di quei mesi che regala sovente giornate tiepide e, nelle ore più calde, sature dell’odore delle fioriture a cui si accompagna la sensazione di benessere e di promesse per la bella stagione che presto arriverà. Tuttavia, quel giorno, dopo le prime ore in cui un sole promettente era spuntato all’alba, si era alzato un venticello apparentemente piacevole ma che aveva portato il passaggio di qualche nuvola: all’ombra si sentiva la necessità di coprirsi e Oscar, osservando il cielo quella tarda mattinata dalla finestra di camera sua, cercava di capire se fosse stato il caso di portare con sé qualcosa per coprirsi in caso di pioggia ma alla fine, quando il sole tornò, una decina di minuti dopo, a splendere caldo, si disse che non era il caso tanto non si sarebbero allontanati troppo.
Così, pronta per la passeggiata, aveva chiesto che gli venissero portati i cavalli suo e di André, quelli che avevano preso a nolo per quel breve soggiorno ed era in paziente attesa del suo amico che, accortosi che lei lo stava aspettando, le fece un cenno, si congedò da Marcel e la raggiunse.
«Il tempo di cambiarmi e arrivo» disse mentre non si fermò nemmeno, diretto il più velocemente possibile verso la sua camera e fare quanto prima.

Tornò una decina di minuti dopo.
«Quando vuoi»
La donna gli sorrise e salì in groppa al suo cavallo. Così fece lui, mentre la seguì trotterellando fino a raggiungerla e camminarle di fianco.

«Ho saputo una cosa, Oscar, proprio poco fa»
Lei si volse a guardarlo, incuriosita dal tono che suggeriva la rivelazione di un segreto.
«Marianne e Marcel si sposeranno presto. Lui è un amico del fratello di lei e, quando Marianne è tornata ad Arras, è stato lui a proporle di lavorare qui, appena si fosse reso disponibile un impiego. Mi ha confidato di averci messo un po’ a farsi avanti ma alla fine, beh, si vede che era destino. Dopo quello che ha passato, mi fa piacere sapere che ha trovato il modo di essere felice. Forse dovremmo farle le nostre congratulazioni».
Proseguirono a cavallo e fecero qualche tratto a piedi, ripercorrendo i dintorni del palazzo dove giocavano da piccoli e, pieni entrambi di una gioiosa nostalgia di rivedere quei posti a loro così cari, si scambiano i ricordi più preziosi che ognuno di loro aveva di quei luoghi e che, adesso però, rivisti da occhi adulti, avevano perso quell’alone di magia e mistero che tanto avevano attirato il loro interesse quando erano piccoli. Ad un certo punto, avevano lasciato i cavalli a pascolare qualche filo d’erba all’ombra nei margini di un laghetto per inerpicarsi verso un punto leggermente più elevato da dove era possibile una visuale più ampia della tenuta, quando improvvisamente arrivarono una, due, tre gocce d’acqua dal cielo, di una portata talmente elevata che, arrivandole sul revers della giacca, fecero un rumore come un piccolo tonfo. Oscar fu ipnotizzata dall’alone tondo e grande che si allargava sulla stoffa e, appena il tempo di alzare istintivamente lo sguardo verso l’alto e capire che aveva iniziato a piovere, le gocce d’acqua attorno e su di loro erano aumentate, creando un rumore forte e repentino che li costrinse a guardarsi intorno per cercare un possibile riparo.
«Andiamo lì, sotto quella quercia» indicò Oscar allungando il braccio verso un albero solitario a qualche centinaio di metri da loro e così, correndo il più velocemente possibile, si mossero verso quella direzione. Lui pensò per un attimo di sfilarsi la giacca e ripararsi insieme a lei ma avrebbero perso velocità e, allo stato delle cose, sarebbe stato peggio.
Quando raggiunsero le fronde dell’albero, si guardarono addosso per capire in che condizioni erano. A parte i capelli appiccicati sul volto, tutto sommato non stavano messi proprio male. Risero l’uno dell’altra mentre cercavano di ravvivarsi i capelli umidi ma non bagnati, che nella corsa si erano appiccicati al collo, alle tempie, alla fronte.
«Io lo sapevo!» diceva lei indispettita ma altrettanto divertita. Non smetteva di guardarla, lui, che si beava di lei in uno dei rari momenti in cui l’aveva tutta per sé.
«Aspetta, faccio io» le disse in un sussurro, mentre le sistemava una ciocca più umida dietro l’orecchio sinistro. Lei lo guardò, nei suoi occhi e sulla sua bocca lo strascico della risata di poco prima che ora scivolava via e si sentì ipnotizzata all’improvviso da quell’unico occhio visibile, che seguiva attentamente i suoi stessi movimenti attenti e premurosi, fino a quando, poco prima di lasciarla, fu lui a guardarla. Gli occhi che lo fissavano erano privi di paura e dentro vi lesse qualcosa che gli parve emozione e quasi aspettativa.  Il suo tocco allora si trasformò e il suo pollice indugiò ai margini del suo volto e le sue dita, attorno ai lati del suo collo. Si disse che stava sbagliando di nuovo, che stava facendo lo stesso errore di quella sera di qualche anno fa, che lei da un momento all’altro si sarebbe allontanata da lui malamente ma non ci riusciva a staccarsi da lei, non ne aveva la forza. Lei era così bella, la sua pelle era così calda e accogliente e aderiva perfettamente alla mano di lui; leggeva determinazione e arrendevolezza al contempo nel suo sguardo. Percepì l’eco del suo cuore nel petto e il suo respiro, accelerato, che si accordava similarmente a quello di lei.
Fu in quel momento, in cui entrambi avevano l’impressione che la pioggia, il tempo, tutto attorno a loro fosse sospeso, che sentirono delle voci in lontananza.
«Madamigella Oscar, André?! È arrivata una lettera da Parigi»
La magia di quel momento si infranse e subito ritornarono ognuno alle consuete posizioni mentre, cercando di ritrovare una qualche forma di naturalezza, cominciarono guardarsi addosso e mettersi in ordine gli abiti e i capelli umidi, in attesa che il ragazzotto che era stato mandato da loro per avvertirli, li raggiungesse.

«Poco fa è arrivata a palazzo questa lettera. Reca il vostro nome, madamigella Oscar. Viene da Parigi. Ho ritenuto opportuno farvela avere quanto prima».
«Sì certo, avete fatto bene» disse lei mentre apriva incuriosita la lettera e chiedendosi ad alta voce, ma rivolta più a se stessa, com’era possibile che fosse già arrivata una risposta. Ed infatti, non era una risposta al suo messaggio ma un invito piuttosto perentorio a tornare quanto prima in città perché con l’apertura degli Stati Generali, doveva assolutamente riprendere il suo posto. Evidentemente, la lettera era stata inviata qualche giorno dopo la sua partenza, altrimenti non sarebbe arrivata così presto.
«La vacanza è finita André, dobbiamo ritornare a Parigi»

 

Era stata quella lettera a portarli ad Arras e sapeva già che il soggiorno non sarebbe potuto durare a lungo: quando erano partiti, l’apertura degli Stati Generali era imminente ma era bastato dire di avere motivi urgenti affinché il generale Bouillé le consentisse di prendersi quel permesso. Alla fine, però, evidentemente la situazione a Versailles stava prendendo una piega non prevista se era stata richiamata con tanta impellenza. In pochi minuti ragionò che il giorno dopo avrebbero dovuto organizzare il viaggio di ritorno per partire poi all’alba di quello successivo. Era molto dispiaciuta di andarsene via senza praticamente aver risolto nulla, se non aver promesso di dare tutto l’aiuto utile ma gli ordini erano ordini e non era ammesso fare diversamente.

Aveva letto la stessa aria di delusione mista a tristezza in André il quale, senza dire nemmeno una parola, si era detto pronto ad organizzare il ritorno quando lei desiderava. La pioggia era durata ancora pochi minuti e, dopo, tutti e tre si apprestarono a recuperare i cavalli e tornare indietro.

 

I narcisi e le fresie profumavano mentre le goccioline d’acqua che li ricoprivano si asciugavano al timido sole del pomeriggio che, ora, era ritornato a splendere ma non ancora a scaldare come avrebbe fatto qualche mese dopo. L’aria, intorno, era satura di umidità e Oscar si sentì pervadere di una profonda tristezza all’idea di lasciare di nuovo quei luoghi a lei tanto cari. Seduta accanto al tavolino all’aperto, sorseggiava il tuo the mentre, più in là, osservava gli uomini continuare i lavori. André era con loro, lo vedeva parlare con gli altri e rendersi utile.
«Ho saputo che ci lascerete presto, mademoiselle»
Posò con attenzione la tazza sul piattino e si alzò accostandosi verso Marianne.
«È vero, sarei voluta rimanere ancora qualche giorno ma purtroppo non è possibile. Piuttosto, mi è giunta voce che presto voi e monsieur Durand vi sposerete»
»Sì, sì» rispose la donna con fare timido, abbassando gli occhi. «Dopo tutto questo tempo, mi sembrava giusto dargli questa possibilità»
«In che senso scusate? Voi non volete sposarlo?»
«Ma no, no, no madamigella». Si affretto a concludere. «È che ci sono molti modi di amare, madamigella. Io ho amato molto in passato – disse guardando per una attimo là, dove gli uomini stavano sistemando un’asse di legno. Ma non possiamo gettare al vento la possibilità di essere felici di nuovo .
Rimasero entrambe in un silenzio carico di riflessione. Poi Marianne riprese:

«Credo che sia la stessa cosa per André, voglio dire, sono sicura che anche lui sarebbe voluto rimanere ancora. Piuttosto madamigella, volevo chiedervi una cosa, cosa è successo all’occhio di André?»
L’espressione affranta di Oscar fece pentire la donna di aver posto il quesito, ma ormai la domanda era stata fatta.

«È stato qualche anno fa. Dovevamo catturare un ladro e André, aiutandomi, è stato ferito. Non avrebbe perso l’occhio se non fosse venuto a salvarmi» spiegò mentre sentiva una sensazione di amaro partire dalla bocca dello stomaco e risalire su.
«Mi ha detto di essere arruolato tra i soldati del vostro reggimento. Non avete notato niente di strano? Meglio così»
«Cosa volete dire? Spiegatevi meglio, Marianne» chiese Oscar rivolgendo tutta la sua attenzione all’amica accanto a lei.
«Ma sì madamigella, vi spiego. Mio nonno lavorava come carpentiere e aveva perso un occhio a causa di un incidente. Per qualche tempo le cose sembravano non essere cambiate molto per lui, dopo essersi ripreso dall’infortunio aveva ricominciato a lavorare come se niente fosse. Poi, lentamente, iniziò ad avere problemi anche all’occhio buono. Aveva di frequente dei dolori acuti e la vista iniziò a diminuire fino a quando non fu costretto a lasciare il lavoro. Gli ultimi anni della vita li ha passati nella quasi totale cecità. Ma per lui era diverso. Doveva lavorare, doveva sfamare la sua famiglia e si è trascurato. Quando i figli si accorsero del problema, lo portarono dal medico ma era già troppo tardi».

Avvertì distintamente un moto d’angoscia nascere da dentro ed espandersi in tutta la sua persona, impedendole di muoversi e di anche solo percepire la voce di Marianne e i suoni e i rumori che la circondavano. Sentiva la testa pesante, le idee confuse che cercavano di mettersi a posto in un ragionamento che, lo sentiva, le portava finalmente chiarezza e al contempo aumentava il suo senso di panico. Con molta fatica riuscì a rispondere che tutto andava bene, che André era seguito dai migliori medici di famiglia e a congedarsi senza far trasparire lo sconvolgimento emotivo di cui in quel momento si sentiva totalmente sopraffatta, mentre il ronzio che sentiva alle orecchie le faceva venire voglia di urlare e, temeva, le avrebbe impedito di fingere naturalezza. Il cuore la batteva all’impazzata quando guadagnò la porta della sua camera e vi si chiuse dentro, le mani che tremavano e la voce che faticava pure a mantenere salda, mentre ignorò una domestica che l’aveva vista salire quasi correndo le scale e che le chiedeva se stesse bene. Lontano da occhi indiscreti, poté permettersi di manifestare tutta la sua angoscia e il suo senso di colpa per non essersi accorta di nulla. Possibile che una cosa del genere stesse succedendo ad André? Se così fosse, possibile che lei non si fosse accorta di nulla? Presa dal panico, si tappava la bocca con entrambe le mani, per non urlare, mentre ansia e afflizione si alternavano l’un altro realizzando quanto dovesse essere stato difficile per lui nasconderle tutta la situazione, sia dal punto di vista pratico che per quello emotivo. Per non parlare delle conseguenze di tutto questo. Ma perché non dirle niente? Non chiedere aiuto?
Fu con questo moto di rabbia che, sentendo delle voci e dei passi nel corridoio, si avvicinò alla porta per capire chi fosse e, appena ebbe certezza che era André che rientrava nella stanza adiacente la sua, si precipitò fuori e, senza nemmeno bussare, entrò nella sua camera. L’uomo si volse all’improvviso, meravigliato da quel brusco e altrettanto inatteso arrivo ma il sorriso gli morì sulle labbra quando vide la furia che gli veniva incontro.
«Devi dirmi la verità! Hai problemi all’occhio destro?!»

«Che succede? Di cosa parli?»
«Ascolta, non mi piace essere presa in giro, lo sai: giura su Dio che non hai problemi all’occhio destro»
Lui abbassò lo sguardo e non profferì parola. Quel silenzio fu per la donna come una stilettata nel petto.
«PER QUANTO ANCORA AVEVI INTENZIONE DI TENERMELO NASCOSTO?»

Sentiva la rabbia montare sempre più dentro di lei nell’osservare la tranquillità con cui lui, come se niente fosse, si volse di lato per poggiare sulla spalliera della poltrona il gilet e il fazzoletto che si era levato giù in cortile per dare una mano agli operai. Aveva quasi l’aria infastidita e un atteggiamento impassibile che dava sui nervi alla donna che contava i secondi in attesa di una spiegazione mentre lo osservava sedersi sul bordo del letto, le gambe leggermente divaricate e, sempre in silenzio, si sistemava le maniche della camicia che aveva risvoltato sulle braccia per sistemarla e abbottonarla ai polsi: in realtà avrebbe dovuto cambiarla, ma non era questo il caso. Cercava di prendere tempo perché aveva paura di quella conversazione che avrebbe voluto non si verificasse mai ma lei non sembrava avesse intenzione di cambiare argomento, così si decise a rispondere:
«Tutto è iniziato circa tre anni fa, prima che tu lasciassi la guardia reale»
«E si può sapere perché non mi hai detto nulla? Cosa ti è passato per la testa? Se tu me l’avessi detto, io avrei..»

«TU COSA, OSCAR? COSA AVRESTI FATTO?» la interruppe lui alzandosi come una molla, colto da un irrefrenabile moto di fastidio. Lei tacque ma lo sguardo rimase quello di sfida mentre lo osservava avvicinarsi.
«COSA AVRESTI FATTO TU, EH? COSA? LO SAPPIAMO TUTTI E DUE CHE MI AVRESTI COSTRETTO A RIMANERE A PALAZZO E SARESTI ANDATA PER LA TUA STRADA SENZA DI ME!».

«SEI INGIUSTO. AVREMO POTUTO CHIEDERE AIUTO»

«NON.. non – disse, addolcendo il tono della voce – non c’era più niente da fare. All’epoca ho consultato il dottor Lassonne. Secondo lui avrei dovuto abbandonare il mio servizio, non avrei potuto essere più il tuo attendente e io – la voce si era pericolosamente incrinata nonostante stesse cercando in tutti i modi di controllarla – io, lo sai». Le diede di nuovo le spalle, non voleva che lo vedesse in quello stato.
«Che cosa?» Anche lei, adesso, abbassò il tono e gli si fece più vicino in cerca di un contatto visivo, anche se ancora faticava a cancellare la collera dentro di sé. Lui allora, rassegnato all’inevitabilità di quelle parole sentiva esplodergli dentro, ma delle quali temeva le conseguenze, la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi: «Io non ci riesco, mi dispiace, non riesco a stare lontano da te. Non posso immaginare di vivere senza averti ogni giorno al mio fianco, anche così».

La sua presa era forte, decisa e Oscar, di nuovo, fu ipnotizzata dal magnetismo di quell’unico occhio visibile puntato su di lei. Sentiva distintamente l’odore del suo corpo accaldato dal lavoro prima e della furia appena scatenatasi tra loro, era lo stesso odore familiare che emanava dopo una veloce cavalcata o uno scambio di colpi col fioretto. E si sentì sciogliere come burro, le gambe molli, in una calda sensazione di abbandono. E, com’era già successo poche ore prima, il cuore prese a batterle all’impazzata e il respiro a farsi più veloce.
La durezza dell’uomo svanì, stanco e frustrato e la sua presa così determinata di prima si trasformò in tenerezza quando si accorse delle mani di lei risalire timide e appoggiarsi al suo petto, la punta delle dita che sfioravano appena la parte di pelle scoperta dallo scollo profondo dell’indumento. Socchiuse anche lui le labbra, nel tentativo di dire qualcosa, incredulo, gli occhi della donna in una muta supplica, mentre le mani lasciavano delicatamente le spalle delicate spalle e raggiungevano il suo esile collo in una carezza tenera e inconsapevolmente audace e fu sopraffatto dalla stessa trepidazione che, qualche ore prima, aveva solo sfiorato. Gli ci volle solo una frazione di secondo per avere la certezza che, questa volta, non avrebbe dovuto fermarsi e si accostò al suo viso, le iridi azzurre che fissavano adesso le sue labbra e, a sua volta, si abbandonò finalmente a quel momento tanto desiderato, alle orecchie il suo nome sussurrato da lei con dolcezza ed un palpabile desiderio.

 

Scese finalmente la sera ad Arras e la luce del tramonto tinteggiava di rosso la facciata del palazzo e il paesaggio attorno. Quando il buio arrivò, il cielo ormai completamente sereno, l’aria emanava un dolce profumo di rose, quelle bianche, coltivate con cura da molti anni in quel giardino che, quell’anno, iniziavano a sbocciare in tutta la loro meraviglia.

 

Fine

 

Cetty (mail to: cetty_chan@libero.it )