PREMESSA: Come suggerisce il titolo questo brevissimo
scritto prende spunto dall’omonima canzone della colonna sonora originale
dell’anime (Ai Yue no Kanashimi – la tragedia dell’innamoramento). Con il
passare degli anni – della sottoscritta - certe storie, certi aspetti, sembrano
assumere nuove sfumature e continuano ad essere oggetto di riflessione da parte
mia. Il punto di partenza è stato però l’ascolto di uno dei brani della colonna
sonora del nuovo film animato MAPPA (Ravine – Rovina) che, seppur in modo più
concreto, sostanzialmente illustra lo stesso contenuto, ossia l’amore di André
per Oscar. Al di là dei testi, entrambi i brani, con le loro musiche, illustrano
le due facce di questo sentimento: l’amore romantico, la tragica consapevolezza
dell’impossibilità della sua piena realizzazione e la malinconia verso il tempo
passato dell’innocenza. L’altro brano, invece, indugia sul tormento e sulla
fatica della resistenza, il dover sopportare ogni giorno di vivere con la
persona amata senza poterla avere.
IL DRAMMA D'INNAMORARSI
È successo tutto all’improvviso, senza nessun tipo di
avvertimento.
Fino alla sera prima, all’ora prima, al minuto prima, il
tempo, le cose tra noi, sembravano fluire nella stessa soave e rassicurante
quotidianità.
Io e te, compagni di giochi, amici, fratelli.
In certi momenti mi è capitato perfino di dimenticare
che tu fossi diversa da me, che tu fossi una ragazza, talmente simile è stato il
nostro crescere insieme.
Poi le cose sono cambiate: sei diventata capitano delle
guardie reali, tuo padre era molto orgoglioso di te. I giochi e i passatempi
spensierati hanno lasciato spazio agli obblighi di corte, ai dover del tuo
servizio e tutto sommato, nonostante sentissi già la mancanza di quello che
c’era stato prima ancora di mettere piede alla reggia di Versailles, a me
piaceva continuare a starti accanto, come tuo attendente, e aiutarti in tutti i
modi possibili che il mio ruolo mi consentiva.
In quel periodo mi resi ad un certo punto conto di come
Lucille mi guardasse. Sì, proprio lei, la cameriera dai capelli rossi che
prestava servizio a casa. Avevamo scambiato solo poche parole ogni tanto anche
se la nonna non ammetteva comportamenti ambigui tra il personale della casa e
raccomandava sempre, soprattutto alle più giovani, di non rimanere mai sole con
il personale maschile. Quindi, non la conoscevo bene.
Era da un po’ in effetti che avevo notato certe
attenzioni ma, confesso, in un primo momento non ne avevo afferrato il recondito
motivo. Poi lo capii e la cosa mi piacque.
Sì, mi piaceva essere
guardato a quel modo e iniziai a ricambiare gli sguardi, a soffermarmi sulla sua
figura. Era davvero molto bella, di una bellezza semplice, delicata, innocente.
Avevamo quasi la stessa età. E io ero un uomo ormai o, almeno, così mi ripeteva
spesso la nonna quando mi raccomandava di badare a te. Così iniziai a cercarla
anch’io, a ricambiare le sue attenzioni e, dopo, a desiderare che passassimo più
tempo insieme, sempre lontano da occhi indiscreti che avrebbero prima o poi
trovato certamente sconveniente questo tipo di confidenza.
Non fu facile all’inizio ma mi feci più audace quando
capii che anche lei desiderava la stessa cosa.
In quei momenti non si pensa mai alle conseguenze dei
propri atti ma si agisce di istinto, ci si muove esclusivamente d’istinto, con
l’obiettivo di raggiungere l’appagamento di un desiderio, forse mossi dalla
voglia di sentirsi audaci, di trasgredire in qualche modo alle regole di cosa
sia giusto fare.
Non
saprei, ero molto giovane allora e, col senno di poi, certamente non avevo
capito nulla.
E mi ero sbagliato,
decisamente.
Non era
così innocente come sembrava e aveva un grande cuore e, a dispetto di quello che
si poteva pensare, non aveva mire particolari nei confronti del nipote dalla
balia del giovane capitano, nonché il più fortunato tra il personale di
servizio: aveva semplicemente un atteggiamento spensierato nei confronti della
vita, arraffava con bramosia tutto quello che poteva, senza pensare troppo al
domani. Era simpatica, divertente se si aveva modo di scambiare quattro
chiacchiere con lei e, in generale, un atteggiamento sereno e positivo. Tanto
diversa da te che hai sempre dovuto mantenere un certo rigore e controllo e,
soprattutto in quel periodo, prendevi forse il tuo lavoro fino troppo
seriamente, certamente nel timore di fare qualche errore, di non essere
all’altezza dell’incarico che ti era stato affidato.
In ogni caso, a lei piacevo
e piaceva anche a me.
La prima volta tutto sommato andò bene, e quella dopo
ancora anche di più. Lei, del resto, ne sapeva più di me. Tuttavia, sapevamo
entrambi che non era amore quello che c’era tra di noi. Ci volevamo bene, a modo
nostro, ma lei parlava spesso di quel che avrebbe voluto fare appena avesse
messo da parte un po’ di denaro, del suo futuro lontano da lì e io, beh, non
dicevo nulla che potesse dissuaderla dai suoi intenti.
A volte, quando tornavo in camera mia, mi capitava di
pensarci: mi sentivo un vigliacco a stare a quel modo con qualcuno senza pensare
minimamente alla possibilità di condividerci a vita, un giorno. Non avevamo
niente in comune, a parte il sesso. Ma poi mi dicevo che se a lei stava bene
così perché cambiare le cose. Tanto, un giorno – diceva – sarebbe andata via.
Di solito ci incontravamo nelle stalle e, dopo, Lucille
si rivestiva e andava via furtiva, sorridendo furbescamente mentre io le
sorridevo di rimando, lusingato dall’entusiasmo che non nascondeva quando ci
promettevamo un prossimo incontro e poi me ne restavo lì, a pensare, e talvolta
dimenticavo di rientrare. Certe volte, il giorno dopo, leggevo il tuo biasimo
quando scoprivi che avevo dormito lì, senza immaginarne il motivo. O forse sì,
non saprei: in quel periodo ti sentivo distante e mi sono reso conto di iniziare
a soffrirne.
Se ne accorse anche Lucille.
Non faceva domande dirette, non avevamo questo tipo di confidenza ma certe frasi
lasciate lì in sospeso, parole a cui io non riuscivo a replicare, stavano
cambiando qualcosa tra di noi. Perse la sua proverbiale allegria e
spensieratezza che tanto mi erano piaciute in lei. Io avevo la testa altrove,
diceva così quando cercavo un pretesto per mancare ad un appuntamento o quando,
mentre stavamo insieme, mi sentiva meno coinvolto di prima. Non era arrabbiata
solo, a volte, sembrava che gli occhi le si velassero di tristezza: io avrei
voluto dirle qualcosa, spiegarle, ma non riuscivo a pensare a niente da dire.
Ero poco più di un ragazzino. Ci aveva unito solo il desiderio reciproco e,
adesso, sembrava che anche quello stesse scemando lentamente a causa, in un
certo qual modo, tua. Ma, allora, non sapevo ancora.
Non mi disse nulla quando
andò via da palazzo Jarjayes. Mi fece avere solo un biglietto, che aveva
lasciato in camera via attraverso la fessura tra la porta e il pavimento. Mi
ringraziava per i momenti di felicità che le avevo regalato sperando che anche
lei fosse riuscita a fare altrettanto con me. Mi augurò tanta fortuna e gioia
per il futuro.
La mia vita ha continuato come sempre e io, confesso,
fino ad ora non ho mai desiderato altro da quello che ho già che, per molti, è
come vivere alle porte del paradiso: mangiare tutti i giorni, vivere con delle
persone che stimi e che ti trattano bene, frequentare perfino la corte di tanto
in tanto, può considerarsi uno stile di vita abbastanza soddisfacente,
soprattutto per un servitore. Dopo Lucille, non ho più pensato nemmeno all’amore
forse perché, con la tua promozione a colonnello, l’arrivo della piccola
Rosalie, ho avuto altro a cui pensare.
Tuttavia, all’improvviso, mi
sono reso conto di qualcosa dentro di me ed è stato come quando inciampi ma
riesci a rimetterti in piedi prima di rovinare a terra o come quando, mentre si
dorme, si ha la sensazione di cadere nel vuoto ma poi ti svegli e capisci che
era solo un brutto sogno. Non so nemmeno quale meccanismo abbia fatto scattare
questa molla: forse, il riflesso del sole al crepuscolo il tardo pomeriggio di
qualche giorno fa tra i tuoi capelli, eppure non era la prima volta che lo
vedevo; o, ancora, il modo in cui avvicini il calice di vino alla bocca prima di
bere, la delicatezza delle tue mani che afferrano il vetro. Eppure, ti ho visto
ripetere questi gesti all’infinito da quando ci conosciamo ma, ora, tutto
questo, provoca in me qualcosa di nuovo. Il mio cuore perde un battito e avverto
una sorta di irrequietezza che si impossessa di me quando non ci sei, che si
placa quando ti ritrovo, ogni giorno, la mattina a colazione o al tuo ritorno da
Versailles. Ogni tuo semplice gesto assume adesso una sfumatura diversa ai miei
occhi. Già
da qualche tempo mi capitava di pensarti in modo diverso, soffermandomi su ciò
che ci rendeva fisicamente diversi in un modo malizioso – con Lucille avevo
inevitabilmente scoperto cose a cui prima forse non facevo troppo caso – e a
volte, lo confesso, tutto ciò mi faceva sentire in colpa, come se in questo modo
sporcassi la nostra amicizia, la fratellanza che ci lega da anni, e allora
allontanavo quei pensieri da me ché non erano degni del bene che ti ho sempre
voluto.
Ma poi ho capito che i miei pensieri su di te non erano
fini a se stessi, che io non ti desideravo come avevo desiderato Lucille, che
non pensavo a te solo in quel modo. Il tuo profumo, adesso, mi inebria ma non
desidero solo il tuo corpo. No.
Io voglio tutto di te, voglio sentire il tuo respiro,
esserne avvinto e sentirlo dentro di me. E questo desiderio che ho di te, questa
immane bramosia, li sento crescere ogni giorno di più.
E mi domando come farò a sopportarlo.
Vorrei tornare a quando
eravamo bambini, quando vivevamo spensierati e non sapevamo niente dell’amore[1]
perché non so se e per quanto mi sarà possibile viverti accanto in silenzio,
consapevole di non poter nemmeno pensare di poter stare con te, perché immagino
non mi vedrai mai a quel modo e perché, in ogni caso, questo mondo in cui
viviamo non ce lo permette.
E di certo non è nemmeno lontanamente immaginabile
l’idea che io possa allontanarmi da te, lasciando un vuoto che voglio
egoisticamente credere che tu non possa mai colmare. Non credo di esserne
capace.
Ogni giorno che passo insieme a te è estasi e tormento.
Consapevole di essere tra i pochissimi eletti a godere
della tua compagnia quotidiana e costante, lotto ogni giorno contro me stesso e
il desiderio che ho di te, desiderio che mi sforzo di nascondere, che non posso
soddisfare, mani che non possono sfiorarti, occhi che non possono indugiare
troppo su di te. A volte ho la sensazione che quello che provo sia così
evidente: anche solo un abbraccio, una mano sulla spalla come ho fatto tante e
tante di quelle volte senza nient’altro che un affetto smisurato da parte mia e
tanto cameratismo, temo adesso che possa rivelare altro e allora mi impongo di
controllare ogni mio singolo gesto.
È un tale tormento, Oscar, se solo sapessi.
Ma è meglio che tu non lo
sappia: e se mi tenessi lontano da te? Se leggessi pietà nei tuoi occhi? Non
potrei sopportarlo. Non sai quanto sia doloroso per me osservarti quando il
conte Fersen viene a palazzo. Se il suo amore per la regina è così sincero come
appare, lui non sarà mai un pericolo per me ma è difficile ignorare il tuo
sguardo che si trasforma senza che tu te ne renda conto, che si addolcisce, il
mio cuore che si stringe in una morsa: l’ansia mi assale alla sola idea di
poterti perdere, all’idea che magari lui un giorno possa rendersi conto di
quanto tu sia bella, di quanto tu valga e allora possa rivolgere le sue
attenzioni a te. E
se lui o qualcun altro ti portasse via da me? Di me cosa rimarrebbe? Come farei
io senza di te?
Sento la tua voce gridare il
mio nome. Mi hai detto che oggi pomeriggio ci saremmo allenati con la spada.
Si Oscar, sono qua!
Vivo aggrappandomi alla
speranza che tutto possa cambiare ma che niente cambi veramente, che grazie alla
decisione scellerata di tuo padre anni fa, io possa continuare a vivere al tuo
fianco, a darti di me quello che mi è concesso.
Mi stai aspettando in veranda, seduta al tavolino
“Vieni André, la nonna ha appena portato the e
biscotti”
Mi inviti a
sedermi accanto a te: ti osservo accostare la tazza alle labbra prima di bere.
Poi alzi gli occhi e mi sorridi, mentre mi osservi prendere posto accanto a te.
Poi, sposti il tuo
sguardo sui biscotti appena sfornati, dici che sono i miei preferiti e mi inviti
a prenderne qualcuno.
Il sole sta tramontando, si abbassa lungo la linea dell’orizzonte e tinge di arancio il paesaggio che osservo oltre la finestra aperta. I tuoi capelli biondi sembrano inghiottire quei colori, riscaldando il colore dei tuoi capelli e abbagliandoli così che sembra brillino di luce propria. Accenno un sorriso, felice e soddisfatto di avere questi momenti tutti nostri, solo per me. Viverti accanto così, condividendo le nostre quotidiane abitudini a cui sembra che nessuno dei due possa fare a meno. Non c’è altro da fare, dovrò farmelo bastare fino a quando avrò fiato in corpo, per il resto della nostra vita.
FINE
[1] Frase
di Oscar dell’episodio 28