IMPORTANTE!!!
PREMESSA: Dare una scansione temporale in questo capitolo e in quello successivo è stato abbastanza arduo. Mi sono infatti resa conto, mentre scrivevo la storia cercando di rispettare un ordine cronologico, che nell’anime gli accadimenti a cavallo tra l’episodio 31 e il 33 non seguono una scansione temporale corretta. Oscar assume il comando il 15 aprile 1788, l’assalto alla carrozza nel quartiere di Saint Antoine è storicamente documentato nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1789: la scena tra Bernard e André nella Parigi innevata che chiede l’apertura degli Stati Generali accade quindi prima dell’assalto alla carrozza e non dopo, come invece si vede nell’anime. Del resto, è più plausibile che Oscar si renda conto di amare André circa due mesi prima di confessarglielo e non un anno e due mesi prima -_-. Inoltre, nell’anime la scena in cui André e Oscar scoprono il cadavere di Diane è, nel manga, successiva all’assalto alla carrozza (ultimi giorni di aprile, ad esempio) e quindi come può essere che Alain rientri dopo “molti mesi” di assenza dal comando, in tempo per gli Stati Generali che si inaugurano praticamente tre giorni dopo l’assalto alla carrozza?

Vi giuro che ho mandato in fumo il cervello mio e quello di mia sorella (a cui ho chiesto aiuto.. sigh!) per cercare di risolvere questo rompicapo: l’unico risultato ottenuto è quella di far passare non meno di 4 mesi dall’arresto di Lasalle (ad esempio, dicembre ’88) alla sua scarcerazione (primi di aprile ’89) e anticipare la morte di Diane a prima dell’assalto alla carrozza (febbraio 1789) in modo che passino i “molti mesi” di lutto di Alain.

Vi anticipo quindi che, rispetto alla storia così com’è raccontata nell’anime, c’è qualche differenza. Spero che vi piacerà lo stesso ^__- e, soprattutto, di non avervi creato troppa confusione!

 

 

UNA VITA

Capitolo VIII

"L'Inaspettato"

 

Doveva aiutare quel soldato a tutti costi, anche se ciò avrebbe significato umiliarsi davanti al generale Bouillé.

Spiegare perché il soldato aveva venduto il suo fucile, ne era sicura, sarebbe stato del tutto inutile e Oscar pensava che sarebbe stato preferibile puntare sui meriti dei suoi soldati, Lasalle compreso, durante la missione ad Alancourt, per convincere il generale.

Oscar si stringeva nel mantello mentre un vento gelido le tagliava il volto come in tanti piccoli pezzi: avrebbe fatto meglio a prendere la sua carrozza ma aveva approfittato dell’ora di pranzo in mensa per far visita al generale, che gli aveva accordato un’udienza.

 

Non era stato facile per lei scongiurare e pregare quell’uomo pieno di boria adducendo, infine, la necessità di mantenere la fiducia che, con tanta fatica, si era conquistata con i suoi nuovi soldati. Bouillé aveva tentennato, non comprendendo in cuor suo perché la giovane Jarjayes ci tenesse così tanto ad avere la fiducia – bah! – dei suoi uomini e gli chiedesse di intercedere per un soldato qualunque ma alla fine, sentendosi in un certo senso in obbligo verso il padre, per l’amicizia che li univa e anche per la recente aggressione di cui il generale Jarjayes era stato vittima al posto suo, acconsentì alla preghiera di Oscar, rassicurandola che avrebbe fatto il possibile per quel soldato.


Era un uomo influente, non gli sarebbe stato difficile risolvere la cosa.

 

Spero solo che ne abbia il tempo

 

Pensò la donna mentre, la mano destra in tasca, si ritrovò a stringere la collanina che le aveva regalato André.


**

 

Gennaio 1789

 

«Congratulazioni! Ho saputo che tua sorella si sposerà molto presto. Qui i soldati sono molto delusi: credo che fossero tutti innamorati della piccola Diane. Sai, era parecchio tempo che non venivo a conoscenza di una notizia così bella»

Poi, vedendo l’espressione indecifrabile di Alain che continuava a guardare oltre la finestra del corridoio che dava sul cortile della caserma, André aggiunse:

«Beh, ma che ti prende? Non mi venire a dire che soffri di gelosia, Alain!»

«Credo che sia così. Comunque non riuscirei mai a spiegarti quello che provo in questo momento. Vedi, ho sempre pensato a lei come ad una bambina, invece adesso..»

«Capisco.. Anche gli uomini più forti hanno il loro punto debole, non è vero, Alain?»

Un breve sorriso a confermare le sue parole. André approfittò dell’umore apparentemente placido del suo amico per intavolare il discorso:

«Qualche settimana fa il comandante ha avuto un colloquio con il generale Bouillé per chiedergli di intercedere a favore di Lassalle..»

Alain assunse immediatamente un’aria di fastidio e, volendo chiudere immediatamente la discussione, terminò:

«Per favore André, non dirmi altro. Fino a quando non vedrò con i miei occhi Lassalle tornare qui, non cambierò la mia opinione su di lei»

Si volse verso di lui, puntandogli i neri occhi addosso.

«Chi altri avrebbe potuto denunciarlo? Eh? Prova a rispondermi tu. Chi altri, se non noi, sapeva di Lassalle e del suo fucile?»

André si strinse nelle braccia, assumendo uno sguardo pensieroso.

«Per quanto ne so il generale Bouillé avrebbe potuto dare quest’ordine anche al colonnello D’Aguille o, semplicemente, a qualunque altro nostro superiore. Anzi, è probabile che abbia fatto proprio questo, per assicurarsi che il colpevole saltasse fuori..»

«Ciao, io me ne vado André. Mia sorella tra una settimana si sposa e il comandante mi ha accordato una licenza. Ci vediamo tra un mese» tagliò corto lui.

 

**

 

Febbraio 1789

 

C’era un’atmosfera pesante tra i soldati, in quei giorni.

Alain sarebbe dovuto rientrare della licenza due giorni prima e non si era fatto vedere. Nessuno aveva sue notizie e i soldati si meravigliavano soprattutto del fatto che egli non fosse venuto nemmeno a prendere la paga che, tra le altre cose, serviva a comprare le medicine per la madre malata.

Alain era una persona naturalmente portata alla simpatia e al costante buon umore, gli piaceva scherzare e tante volte fare il gradasso.

Ma non era da lui scomparire così.

Anche Oscar, nello stesso momento, avendo chiesto di lui al colonnello, seppe che Alain non era ancora rientrato.

Mentre D’Aguille usciva dal suo ufficio, la mano sulla maniglia, André si presentò davanti alla sua porta semi aperta.

«Oscar, ti chiedo un permesso per uscire: voglio portare la paga di Alain alla madre»

«Si, è una buona idea. Ma andremo insieme, André. Ecco – disse scrivendo velocemente sul primo pezzo di carta che si trovò sotto le mani – questo è l’indirizzo in cui abita la sua famiglia»

 

Il quartiere in cui abitava Alain era sporco e misero come tanti altri quartieri che Oscar aveva imparato a conoscere negli ultimi mesi di servizio per le vie della capitale: piccole case ammassate una sull’altra in viuzze strette e impraticabili alle carrozze. Logori cordoni, da una finestra all’altra, tenevano abiti altrettanto lisi, sospesi nella fetida aria ad asciugare, in quegli anfratti della città semi sconosciuti in cui anche i raggi del sole faticavano ad entrarvi. Ai lati delle strade vagabondi e vecchi e storpi chiedevano l’elemosina.

 

«Alain abita qui, Oscar. Cerchiamo il numero 26»

 

Il numero 26 corrispondeva ad una casa su più piani. Mentre salivano verso l’appartamento di Alain, una donna pregò loro di riferire al suo vicino di casa di fare qualcosa per quella puzza tremenda che veniva da casa sua. André rispose affermativamente, salutò la donna e continuò a salire, seguito da Oscar.


Quando André aprì la porta dell’appartamento, una zaffata maleodorante li investì in pieno.

Putrido e dolciastro, come di fiori marciti.

Si coprirono la bocca e il naso con la mano. Alla sua sinistra, André vide una donna su una sedia a dondolo, gli abiti consunti e ciuffi di capelli scomposti che uscivano dalla cuffietta ingiallita. Si avvicinò a lei, cercando di respirare e di ignorare al contempo il retrogusto disgustoso dell’aria in quella casa.

 

«Voi siete la madre di Alain, vero?»

«Già..»

«E dov’è Alain? Non sapete dov’è vostro figlio?»

«È di là, vicino alla mia Diane.. È là da giorni.. perché lui voleva molto bene alla sua dolce sorellina..»

 

Un sospiro disperato della donna, le sue mani sul suo volto e il tremolio delle spalle che rivelavano un pianto disperato.

Oscar aveva ancora la mano sul viso, cercando non senza fatica di respirare con la bocca invece che col naso per non sentire quel miasma sconcertante. André si voltò verso una tenda viola, a cui la madre, seduta, sembrava facesse la guardia.

 

Quando André scostò la tenda non avrebbe mai immaginato ciò che si presentava di fronte ai suoi occhi.

 

Riversa su un letto, nel suo abito da sposa, c’era Diane.

O meglio.

Ciò che rimaneva di Diane.

I capelli, che le aveva visto sempre legati in una lunga coda, erano stavolta sciolti e cosparsi sul cuscino e, tra le ciocche e l’abito comparivano qua e là dei piccoli fiorellini.

Ad una superficiale occhiata poteva sembrare che stesse dormendo, ma c’era qualcosa nella posizione innaturale del suo corpo, che ne rivelava la morte. Il pallore troppo accentuato del volto e delle mani e del resto della pelle visibile, il contorno degli occhi scavati e le labbra livide. E la testa, troppo inclinata.

Diane si era suicidata.

Un lenzuolo, arrotolato sulla trave del tetto in corrispondenza del letto, rivelava il modo in cui si era tolta la vita.

Diane avrebbe dovuto sposare un giovane di una famiglia nobile di provincia. Non era ricco ma neanche la famiglia di Diane lo era e, apparentemente, ciò non aveva avuto importanza. Un giorno prima del matrimonio, però, la famiglia del giovane sposo aveva fatto sapere alla famiglia di Diane che il matrimonio era saltato e, quando Alain aveva preso per il bavero il portavoce della malaugurata notizia perché voleva assolutamente sapere cosa diamine fosse successo, questi gli aveva infine rivelato che il giovane era stato costretto a convolare a nozze con una giovane, non nobile ma estremamente ricca.

 

«Per Diane quell’uomo rappresentava tutto.. l’amore, un futuro migliore.. e così.. forse temendo la vergogna.. Spero solo che non abbia sofferto quando si è impiccata..» faticò a concludere la madre, tra le lacrime.

 

André si avvicinò all’uomo, le spalle ricurve su se stesso, in ginocchio al lato del letto in cui giaceva Diane.

 

«Alain..»

«Mi dispiace, ma io ora non intendo tornare tra i soldati della Guardia. Devo prima convincermi che la mia Diane non esiste più, che non vedrò mai più il suo sorriso, che non ascolterò mai più quella fresca, meravigliosa risata. Fino ad allora, resterò per sempre vicino alla mia Diane..»

Non c'erano parole per descrivere il dolore dell'uomo e André, sapendo di non poter far niente per attenuare il suo tormento, tentò quanto meno di distoglierlo dalla visione della sorella morta, nel tentativo di fargli tornare un briciolo di lucidità.

«Alain, vieni un attimo di là con me..?»

«No, no..! Devo restare vicino alla mia Diane..» ripeteva Alain come in una nenia infantile.
André, non sapendo cosa fare, si rivolse ad Oscar, in una muta richiesta di aiuto. La donna comprese perfettamente.

«Vai pure Alain..» intervenne, riuscendo a distogliere l’attenzione di Alain dal corpo della sorella.

«Co.. comandante?»

«Si Alain, sono io. Va’ pure con André, ci penso io a stare con la piccola Diane. Vai pure»

Gli disse avvicinandosi verso di lui, nel tentativo di distrarlo completamente e fare in modo che seguisse André.

Alain, riluttante, si alzò, continuando a guardare sua sorella, mentre André, abbracciandolo per le spalle, lo allontanava da quel luogo.

Oscar rimase da sola, ad osservare Diane.

Doveva essere morta da cinque o sei giorni, a giudicare dall’aspetto del cadavere.

Non riusciva a capacitarsi che quella ragazza fosse la stessa che, mesi prima, l’aveva salutata tutta emozionata e che, tempo dopo, le aveva rivelato, vergognandosi subito dopo, che suo fratello le aveva parlato di lei come di un ottimo comandante con un nome dal significato importante.

Non riusciva a comprendere come quella piccola e dolce ragazza avesse avuto il coraggio così grande di mettere fine alla sua vita. Non ci aveva mai pensato ma, lo sapeva, lei non ci sarebbe mai riuscita.

 

 

«Ascoltami.. dobbiamo seppellirla Alain.. lo sai anche tu che non può rimanere così, vero?»

«NO, NO! Non posso, non posso lasciarla sola..»

Alain era ancora sotto shock e non era facile farlo ragionare.

«Alain, maledizione! Diane non è più con noi! E poi – la voce di André, pur mantenendo un tono basso, assunse un tono volutamente risoluto – Vuoi forse che tua sorella venga ricordata in questo modo?» quasi gridò allungando un braccio in direzione dell’altra parte della stanza, in cui giaceva il corpo di Diane.

Alain si paralizzò. André sapeva di essere stata molto duro, sottolineando la fase di decomposizione del corpo di Diane, ma era l’unico modo per riscuotere il suo amico da quel profondo stato di apatia.

«Diane ha il diritto di riposare in pace.»

E finalmente, il suo amico crollò, acconsentendo alle esequie della sorella.

 

**

 

Ultima settimana di Marzo, 1789

 

Dopo più di un mese, Alain De Soisson aveva fatto ritorno in caserma. Pioveva forte quella mattinata, e il cielo era così scuro, coperto dai nuvoloni grigi, che sembrava si stesse avvicinando la sera mentre erano appena le nove del mattino.

Quando Alain fece il suo ingresso, i compagni si avvicinarono a lui ma, non sapendo come accogliere il loro amico, rimasero fermi, immobili. Si vedeva che avevano voglia di salutarlo calorosamente ma qualcosa nell’espressione stanca e nel volto scavato e sofferente dell’uomo li aveva trattenuti dal dimostrare la gioia che avevano in cuor loro per averlo visto ritornare.

Sorrise Alain, accorgendosi dell’emozione trattenuta dei suoi amici, rassicurandoli al contempo sul fatto che - beh, non era stato facile – ma il loro amico che era mancato da settimane era tornato e, anche se qualcosa era irrimediabilmente cambiato in lui, per il lutto di Diane prima e quello della madre subito dopo, era ancora il tipo di sempre. Questo, almeno, era quello che voleva mostrare loro.

Aveva deciso di tornare per la prossima apertura degli Stati Generali.

Alla fine, Luigi XVI aveva capitolato e il ventun gennaio aveva dichiarato che a maggio si sarebbero aperti gli Stati Generali. Si trattava di un avvenimento importantissimo, non solo perché erano passati più di centocinquanta anni dall’ultima volta in cui erano stati convocati ma, soprattutto – e Alain ne era convinto – questa decisione del re avrebbe certamente portato molti cambiamenti nella società, tra il popolo, e lui non voleva perdersi l’occasione di essere parte attiva degli avvenimenti, grazie al ruolo che la Guardia Francese avrebbe assunto a partire dall’inaugurazione, prevista per il primo maggio.

 

«André, scusa, dovrei dirti una cosa» disse dopo aver salutato tutti i suoi amici «Volevo ringraziarti per quello che hai fatto. Se tu e il comandante non foste arrivati, quel giorno, non so che fine avrei fatto» iniziò Alain mentre André richiudeva la porta degli alloggi alle sue spalle.

«Eh? Ah.. – capì a cosa si stava riferendo il suo amico - Avresti fatto lo stesso se ci fossi stato io al tuo posto, no?»

«Si, credo di si»

«Coraggio, l’importante è che tu adesso sia qui, insieme a noi»

Sorriso tra i due.

«Sono contento che tu ti sia deciso a tornare»

Stretta di mano.

«Senti André, novità col comandante?»

Cambiò registro Alain, in tono volutamente scherzoso.

«Novità in che senso?»

«Ecco, in mia assenza ci sono state “novità”?» Chiese strizzando l’occhiolino e marcando volutamente la pronuncia dell’ultima parola.

«È una battaglia persa Alain, dovresti saperlo» rispose lui sorridendo sconsolato.

«Ma lo sai che la gente a volte cambia, vero?» Disse Alain, circondandogli il collo con il braccio mentre rientravano negli alloggi.

«Mah.. chissà..»

Se le sue pene d’amore servivano a tirare su il morale di Alain, per questa volta, si sarebbe lasciato sfottere.

 

**

 

Dopo un paio di settimane, una sera, gli uomini delle camerate avevano visto entrare il loro amico Lasalle.

L’uomo varcò la soglia dell’alloggio con il passo incerto di chi ha passato delle settimane infernali e con le lacrime agli occhi per essere riuscito a tornare sano e salvo da una condanna certa al plotone di esecuzione.

Qualcuno di loro aveva offerto una sedia a Lasalle e l’aveva rassicurato, pacca sulla spalla, che adesso era tra amici e che tutto era finito. Poi, qualcun altro pensò di chiedergli come fosse riuscito a farsi scarcerare e l’uomo, con un grosso sorriso tra le lacrime, aveva detto che era merito del loro comandante che aveva intercesso col generale Bouillé per farlo scarcerare[1].

Nessuno riuscì a nascondere l’estremo stupore nell’apprendere una notizia di questo tipo.

 

«Ma..? Cosa? Il nostro comandante ha fatto..?»

«Eppure ha del fegato quella donna»

«Allora non è stata lei a denunciare Lasalle»

 

Alain era rimasto per un attimo come bloccato, incapace di capire le parole che erano uscite fuori dalla bocca del suo amico. Si voltò verso André in quale, immaginando la reazione dell’amico, gli rivolse uno sguardo equivalente ad un Te l’avevo detto.

 

«Ehi amico, mi dispiace..»

«Sapevo che Oscar avrebbe fatto di tutto per tirare fuori Lassalle da quel posto. Avresti dovuto fidarti, Alain»

 

Tu non sai che ha rischiato di essere uccisa in duello solo perché non riusciva a dimenticare che un nobile di alto rango avesse ucciso un bambino indifeso.. e non hai visto la rabbia e l’impotenza nei suoi occhi per mentre apprendeva sconcertata, in quel passato che mi sembra ormai un’altra vita, ad Arras, come viveva la gente della sua tenuta.

 

Ma poi, si disse, non era il caso di aggiungere alcunché: in fondo Alain non sapeva niente di Oscar. Nessuno, in effetti, la conosceva bene come lui e dare spiegazioni o raccontare il loro passato non aveva molto senso in quel momento.

 

«Lascia perdere, Alain»

E, con un sorriso e una pacca sulla spalla, avevano raggiunto Lassalle e festeggiato il suo ritorno insieme agli altri commilitoni.

 

**

 

«Soldato, di' a Grandier di venire nel mio ufficio» disse Oscar al primo soldato che aveva visto nel corridoio del suo ufficio.

«Si, comandante»

 

Alla fine il generale Bouillé era riuscito a far liberare Lassalle. L’aveva fatto chiamare il giorno dopo aver saputo del suo ritorno. Il giovane soldato, naturalmente timido e terribilmente smagrito più per lo stress accumulato che per la scarsità del cibo,  aveva raccontato brevemente quei lunghi mesi di carcere, col terrore costante di sentirsi chiamare dai soldati che entravano nelle celle per comunicare i giudizi di condanna del tribunale ai poveri diavoli dietro le sbarre. Oscar, dal canto suo, riteneva fosse stato molto fortunato perché, in genere, casi di questo tipo venivano chiusi velocemente, talvolta senza dare nemmeno la possibilità al soldato di potersi difendere in qualche modo[2]. Forse tutto era dipeso dalla confusione degli ultimi mesi attorno alla questione degli Stati Generali, che aveva fatto senza volere cadere nel dimenticatoio la questione di Lassalle. Alla fine il soldato si era congedato ringraziandola, sempre con quell’aria timidezza che l’uomo assumeva ogni qual volta le doveva rivolgere la parola, per aver intercesso in qualche modo in suo favore. La donna aveva sorriso, dicendogli che poteva andare dai suoi amici, che gli avrebbe dato qualche giorno di licenza al termine del quale avrebbe voluto vederlo di nuovo in forma insieme agli altri.

 

«Sei tu, André?»

«Si»

«Bene, vedo che sei già pronto – disse la donna mentre infilava i guanti bianchi dell’uniforme e si sistemava il colletto della divisa – Verrai con me a Parigi: voglio ringraziare il generale Bouillé per quello che ha fatto. Voglio che venga tu quale rappresentante dei soldati della Guardia»

Un soldato a caso, vero Oscar? diceva se stessa.

«Va bene»

 

 

Appena uscirono fuori nel cortile d’ingresso della caserma, la carrozza che Oscar aveva fatto chiamare da palazzo Jarjayes con un messo era già arrivata. Lei e André salirono a bordo[3]. Quella sera il generale Bouillé andava all’Opèra.

La donna si sentiva serena ed era contenta del ritorno di Lassalle. Alain era entrato nel suo ufficio dicendole che, visto che era intervenuta lei, i soldati avrebbero potuto continuare in tutta tranquillità le loro trattative di contrabbando.. Lei lì per lì ci aveva pure creduto e si era sentita un po’ stupida accorgendosi, subito dopo, che il suo soldato stava scherzando e che quello era soltanto un modo tutto suo di ringraziarla.

 

«Sbaglio o sei di buon umore questa sera?»

«Eh, cosa?»

«No, niente». Un piccolo sorriso increspò le labbra dell’uomo.

Stupita di come André riuscisse a leggerle nel pensiero e a capire i suoi stati d’animo nonostante il suo pluriennale allenamento a mostrare sempre un atteggiamento impassibile, gli rispose che si, era soddisfatta dell’esito che aveva avuto la situazione di Lassalle.

Nel frattempo, la carrozza attraversava il quartiere di Saint Antoine. Le strade erano parzialmente illuminate soltanto da qualche lampione e il cocchiere, intento ad osservare davanti a sé nella semi oscurità della via che stava attraversando, si accorse troppo tardi della folla che, avendoli scorti da un pezzo, li aveva adesso praticamente circondati, costringendo suo malgrado l’uomo  a fermarsi.

 

Tutto accade velocemente, in maniera così precipitosa da non darle il tempo di capire né cosa stesse succedendo, né pensare ad una soluzione, semmai fosse stato possibile trovarne una.

Vide soltanto dei volti, ombre di volti nella debole luce notturna, e grida, e urla, attorno alla carrozza. Poi qualcuno aprì la portiera dal lato di André, trascinandolo fuori per le spalle.

Mani gli tolsero il cappello mentre Oscar cominciava a distinguere qualche parola dalle urla che la circondavano. Nobili. Nobili. Li stavano attaccando perché erano nobili!

 

«Lasciatelo! Lui non è un nobile!»

 

Ma in quella confusione nessuno ascoltava le sue grida. Non ebbe nemmeno il tempo di prendere la pistola che aveva nella cintura che sentì delle mani prenderla che la costringevano ad uscire.

Dolore.

Chiunque fosse stato a trascinarla fuori, l’aveva fatta cadere, facendole battere il mento sulla strada lastricata.

Bruciore, intenso.

E poi strattoni, pugni e calci che non le davano nemmeno la possibilità di alzare la testa e guardare in faccia i suoi nemici.

Ma l’unica cosa, in mezzo a tutto quel dolore, e quella confusione, a quell’odore di fumo per la carrozza che stava bruciando che le faceva bruciare gli occhi, era André.

 

André!

 

Si era rialzata, provando a farsi strada colpendo chiunque le venisse incontro.

André, doveva raggiungere André.

Continuava a gridare il suo nome, incapace di pensare a qualcos’altro che non fosse lui e non sapendo cosa gli stessero facendo, era terrorizzata e continuava ad avanzare come una furia nella folla che le correva incontro.

Ma erano in troppi e alla fine fu sopraffatta.

Buio.

Quando finalmente riuscì a riaprire gli occhi, si ritrovò davanti Fersen. Ci mise un po’ prima di rendersi conto che fosse lui. 

«Fersen..»

«Sono contento.. di vedervi sana e salva»

Si, doveva essere sicuramente così e sentire una voce amica, dopo tutto quell’inferno, la faceva sentire meglio. Ma, il sottile pensiero che non l’aveva abbandonata gridò furioso nella sua testa, più forte del dolore che sentiva in ogni parte del suo corpo.

André.

«E André??! Non avete visto André? Che cosa ti hanno fatto André? Che cosa ti hanno fatto??!!!» gridava Oscar, dimentica dell’uomo che l’aveva salvata e cercando di divincolarsi dalla sua presa che cercava di impedirle di tornare in strada, dicendo che non doveva muoversi da lì. Ma lei non poteva stare nascosta quando c’era di mezzo la vita di André.

«Lasciatemi andare! Il mio André è in pericolo!!»

«Avete detto.. il mio.. André??».

Oscar, voltò la testa, fissando lo sguardo senza parole del conte.

Le parole le morirono in gola e sentì dentro come se qualcosa si fosse definitivamente distrutto ma, invece di sentire dolore, o paura, si sentiva libera, come se delle catene immaginarie la lasciassero finalmente libera. Tutta la sua vita era rinchiusa in quel nome.

Fersen, non ricevendo nessuna risposta da parte sua, prese per assenso il suo silenzio, e le rispose che sarebbe andato lui a salvarlo.

 

Rimase da sola. Appoggiò la schiena nella gelida pietra dietro di lei e poi scivolò a sedere a terra, crollando psicologicamente e fisicamente e non riuscendo a pronunciare nient’altro che il suo nome, ossessivamente[4], accompagnato da quell’aggettivo possessivo che, comprese, era iscritto da sempre a quello del suo amico.

 

Attese minuti che le parvero ore intere, che Fersen disperdesse e, soprattutto, allontanasse la folla da quel punto, per uscire dal viottolo in cui era stata portata.

Non posso perderti adesso!

«André! André, dove sei???!!! Andrééééé!!!» Urlava in preda al panico nella speranza di sentire una risposta.

«Oscar..! Oscar..!» una voce fievole non molto lontano da lei.

Dove sei?

Finalmente lo vide.

Rallentò i suoi passi e per qualche secondo rimase paralizzata essendosi resa conto di quello che avrebbero fatto di lui se Fersen non fosse arrivato per tempo.

La corda pendeva ancora dal lampione sotto il quale c’era André, in ginocchio, le mani legate, che cercava faticosamente di rimettersi in piedi.

«Oscar..»

Finalmente André riuscì a scorgerla, gli occhi increduli e felici di vederla in piedi e, soprattutto, viva.

Riavutasi quasi subito, riprese a correre verso di lui e, quando gli fu dinanzi, si inginocchiò di fronte all’uomo che tentava inutilmente di sciogliere i nodi dietro la schiena.

«Non riesco.. a liberarmi..»

«Aspetta..»

E, cercando a tentoni sulle lastre di pietra, finalmente toccò un pezzo di vetro piuttosto lungo, tra i frammenti dispersi in strada, che poteva fare al caso suo.

Sempre continuando a guardare André, che aveva nel frattempo alzato il suo sguardo verso di lei, fece passare le sue braccia attraverso gli incavi tra le braccia e i fianchi dell’uomo e, aiutandosi con entrambe le mani, cominciò a sfregare il vetro contro la corda attorno ai polsi che, tesa, si ruppe quasi subito.

Oscar, che per liberare André aveva teso il suo corpo verso di lui avvicinandoglisi al punto tale che i due busti si toccavano, si rilassò, dando così lo spazio all’uomo di portarsi finalmente le braccia davanti. Il primo istinto di André fu quello di massaggiarsi i polsi mentre continuava a guardarla.

«Grazie..»

Era profondamente scosso, la donna se ne accorse guardandolo di sottecchi mentre lui, sotto shock, continuava a guardarsi le mani e, non trovando nessuna parola sensata che potesse esprimere la gioia, e il sollievo, gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé.

Sei qui.

Sei tu.

Ho temuto di perderti per sempre.

E solo in questo momento capisco quanto tu sia importante per me.

Scusami.

E non lasciarmi mai.

«Oscar..» sussurrò l’uomo mentre ricambiava l’inaspettato e il tanto desiderato abbraccio con la stessa intensità di lei, che continuava a stringerlo a sé con ogni fibra del suo corpo.

 **

 

«Guarda qui, Oscar. Ti ho portato del cioccolato caldo»

La governante non aveva mai perso l’abitudine, neanche adesso che lei e André erano adulti, di coccolare i suoi ragazzi nel momento del bisogno. Entrava nel salottino al piano terra, dove Oscar era seduta, con un vassoio tra le mani.

«Mi dispiace molto per quello che ti è successo: prendersela in quel modo con una povera ragazza..! Parigi sta diventando una città assolutamente infrequentabile!»

Come se chiunque mi incontri pensi di me come ad una “povera ragazza”..

Questo avrebbe voluto risponderle, ma non aveva voglia di iniziare una discussione con la sua balia che certamente avrebbe portato la donna ai ricordi lontani della nascita di quella bambina che il padre aveva voluto crescere come un uomo. E poi, aveva altro a cui pensare.

«André è ridotto molto male, vero?»

«Si, certo.. è pieno di ferite ma ha detto che tre giorni gli basteranno per tornare tra i soldati della Guardia»

In tempo per l’inaugurazione degli Stati Generali a Versailles.

«Non gli è andata male.. in quei momenti ho temuto per la sua vita..»

«Comunque.. a parte quello che hai passato, sono felice di vederti in casa..».

 

Dopo che la donna si fu congedata, Oscar iniziò a sorseggiare il suo cioccolato: in quella giornata piovosa in cui la primavera inoltrata non voleva ancora saperne di abbandonare del tutto quelle giornate fredde, tipicamente invernali, la bevanda calda che amava tanto era ancora più gradevole ed era deliziata di sentirla scendere lungo la gola, fino allo stomaco, inondandola di un piacevole tepore.

La solitudine e il silenzio della stanza la portarono inevitabilmente alla sera precedente.

Amava André.

Nonostante i colpi ricevuti, quello di perderlo per sempre era stato il suo dolore più grande e, proprio in quel momento, aveva capito l’importanza di quell’uomo che le era accanto da una vita.

Una voce la distolse dai suoi pensieri.

«Ho saputo che ieri notte il conte di Fersen è tornato sano e salvo nei suoi alloggi».

«Mi fa piacere»

Forse credi che io pensi ancora a lui?

«Vuoi un po’ di cioccolato, André?»

«No, ti ringrazio Oscar».

L’uomo si allontanò, lasciando sola la donna con la sua cioccolata a rendersi conto che, se l’incidente della sera prima fosse accaduto anni prima, non avrebbe certamente lasciato Fersen in mezzo alla folla senza sapere che fine avesse fatto[5].

 

Vorrei tanto accettare il tuo invito a bere un po’ di cioccolata, e stare con te, ma preferisco tornare a riposarmi, altrimenti non so se riuscirò a ritornare in servizio fra tre giorni, così come ho detto alla nonna.

Questo letto mi sembra la cosa più bella del mondo, secondo solo al tuo abbraccio di ieri sera.

Hai avuto tanta paura vero?

Lo sentivo da come tremavi tra le mie braccia, prima che ti accorgessi delle mie ferite e avessi chiamato un carrozza che ci riportasse a casa.

Eppure anch’io ho temuto di non rivederti mentre mi separavano da te, inconsapevole di ciò che avrebbero potuto farci.

La mia paura più grande era che si accorgessero del suo sesso e approfittassero di te.. non riesco neanche a pensarci.. ed ero talmente concentrato e spaventato da questo pensiero da non rendermi quasi conto della fine che stavo per fare: appeso ad un lampione.

Poi ti ho visto.

Viva.

Splendida come solo tu sai splendere per me.

E poi ti sei avvicinata a me e mi hai aiutato a sciogliere i lacci che mi legavano i polsi e che mi avevano impedito di cercarti.

I tuoi occhi non hanno mai lasciato i miei.

Cosa c’era nei tuoi occhi?

Qualcosa che non avevo mai visto.

Ma forse è meglio non farsi queste sciocche illusioni. Sono un uomo adulto, ormai.

Nonostante le mie attuali condizioni, mi sento un deficiente a sorridere in questo modo[6] perché il pensiero di te tra le mie braccia non mi abbandona.

E non mi importa se l’hai fatto solo perché eri preoccupata per me.

Mi è sempre bastato poco per sentirmi felice.

 

Fine Parte Ottava

Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it)


 

[1]           In realtà non credo che un soldato di grado inferiore potesse venire a sapere “l’intrallazzo” tra Oscar e Bouillé ma non sarebbe stato possibile altrimenti far sapere che la sua scarcerazione era stata merito di Oscar.

[2]           Non so se sarebbe effettivamente così ma ho ripensato alla scena in cui i dodici soldati della Guardia vengono imprigionati nell’Abbazia che, speranzosi di venire ascoltati da un tribunale, vengono direttamente condannati.

[3]           Oggettivamente, credo che non abbia senso che Oscar faccia arrivare la sua carrozza da palazzo Jarjayes (avrebbe giustamente fatto bene a noleggiarne una direttamente dalla capitale), ma come spiegare il tutto? Boh °_°

[4]           In realtà nella versione originale Oscar dice “Watashi no.. Andore..?” (“Il mio.. André?”) quasi incredula delle parole appena pronunciate.

[5]           Parte di questa frase è tratta dalla versione originale in cui Oscar pensa che “Se fosse accaduto prima, non avrebbe lasciato Fersen con la folla”.

[6]           Quando André entra nella stanza, riferendo ad Oscar del ritorno di Fersen nei suoi alloggi, André ha un sorriso un po’ “ebete”. Lungi da me offendere André ma ci sarebbe in effetti poco da ridere parlando di Fersen -_- e ho pensato di sfruttare questo sorriso, probabilmente casuale, ai fini narrativi.