NOTE DELL'AUTRICE: Questa storia è la realizzazione di un mio piccolo desiderio: colmare alcuni vuoti narrativi dell'anime, relativamente a "chissà cosa pensa André in questo momento, anche se non viene detto?" e "Chissà perché Oscar si comporta così".
La vicenda che segue, ricalca più o meno fedelmente (con qualche licenza) la storia raccontata dall'episodio 20 in poi, con alcuni salti temporali, visto che la storia è incentrata sui due protagonisti. Le parti scritte nel colore più scuro e in corsivo sarebbero i pensieri di André.
Ancora la fanfiction è in fase di lavorazione, pertanto non so dove la farò concludere. Per il momento, vi auguro una buona lettura, sperando che questo mio ultimo lavoro vi sia gradito.

 

UNA VITA

Capitolo Quarto

“Un innamorato respinto”

 

Il sole si abbassava lentamente all’orizzonte e le ombre degli alberi e delle fontane, si allungavano. Era passato poco più di un mese dalla cattura del Cavaliere Nero e anche l’occhio destro aveva preso a dargli dei fastidi.

Su un antico torrione eretto nel padiglione centrare del palazzo, osservava il paesaggio e gli uccelli all’orizzonte cercando di focalizzare un punto preciso lungo il parco, ad ovest. Apriva e chiudeva gli occhi André, nel tentativo di mettere bene a fuoco la visuale. Il sole di fronte, comunque, sicuramente non gli rendeva le cose più semplici. Si mise a sedere allora, verso la parte interna del piano a forma circolare, osservando i palmi delle mani, rendendosi conto che, ad una certa distanza, nemmeno troppo elevata, non riusciva a vederli in maniera perfettamente nitida, come avrebbe dovuto poter fare. Il dottore gli aveva già annunciato che la perdita di un occhio avrebbe comportato un maggiore sforzo, seppur involontario, dell’altro rimasto e gli aveva raccomandato di fargli visita se avesse cominciato ad avvertire dei disturbi.

Ricordava ancora molto chiaramente la sensazione di terrore che aveva provato la prima volta, qualche giorno prima, inciampando su un gradino dello scalone di ingresso perché, all’improvviso, erano apparsi due gradini e lui aveva messo il piede in quello sbagliato. Si era velocemente rialzato, verificando che nessuno fosse stato testimone di quello che gli era accaduto; poi, era corso in camera sua chiudendosi la porta alle spalle e non si era fatto vedere fino all’ora di cena. 

«André dove sei? Rispondi André?» 

Aspetta.. aspetta un istante Oscar… Anche l’occhio destro comincia a darmi dei fastidi… vedo un po’ appannato… un momento è vengo da te.. un momento solo… 

Come avrebbe fatto, proprio non lo sapeva in quel momento. Ma era stato lui a proporle di andare a cavallo insieme e non sarebbe stato lui a cambiare i piani per quel pomeriggio. 

La osservava con attenzione, mentre avvicinava alle labbra la tazza di the di fine porcellana di Sèvres, servita nel salottino al piano terra in cui la donna, solitamente, amava abbandonarsi al riposo. Era un’atmosfera quotidiana, che André amava tanto: in quelle circostanze si sentiva fortunato a poter essere l’unico a contemplarla nella consapevolezza che nessuno, a corte e fuori, avrebbe avuto mai l’onore di poter vedere il colonnello Oscar De Jarjayes con il volto rilassato e gli occhi addolciti, finalmente, dopo un’interminabile giornata di esercitazioni con i suoi soldati. Aveva distolto gli occhi dal suo viso e si era alzato, guardando oltre i vetri dell’immensa finestra. 

«All’alba la febbre ha cominciato a diminuire gradualmente, ma il principe Joseph non hai mai goduto di buona salute.. Non vorrei che questa malattia l’avesse reso più cagionevole»

«Oscar?»

«Uhm?»

«Vorrei esercitarmi con la spada con te, adesso. Con un solo occhio è molto difficile giudicare le distanze. Non vorrei trovarmi in difficoltà nel caso dovessi battermi sul serio».

Sperava che l’aspetto apparentemente disteso con cui si era rivolto a lei non avrebbe creato sospetti sulle reali motivazioni della sua richiesta. Certo, in parte era vero che, con un solo occhio, non era facile giudicare le distanze ma in realtà, dopo la perdita dell’occhio non aveva più impugnato una spada – lei, chissà perché, non gliel’aveva più proposto - e voleva rendersi conto fino a che punto i disturbi potessero considerarsi gravi.

«Se superi la prova con me non avrai problemi con nessuno» 

 

Dovette rendersi conto che i problemi lo erano abbastanza, di gravi. Incrociare le spade non era una grande preoccupazione, o almeno, superabile. Forse. La vera difficoltà erano gli affondi che André non riusciva ad avvertire. Certo, Oscar non lo aiutava quando simulava un attacco alla parte sinistra del corpo, ma il punto centrale del problema continuava a persistere perché, in quelle condizioni, non avrebbe potuto comunque essere all’altezza di un avversario, di qualunque tipo.

Continuava ad arretrare, sconvolto, non riuscendo a tenerle testa, fino a quando un imprevisto ciuffo d’erba umida non lo fece scivolare all’indietro, seduto, sul bordo della fontana.

Non si era nemmeno accorto, gli occhi ancora spalancati di stupore per l’incapacità di gestire un normalissimo scambio di colpi di spada, che Fersen li stava osservando, rivelandosi solo quando aveva dichiarato, tra le risa, la fine del duello. Aveva però notato il cambiamento di tono di Oscar dallo stridulo-nervoso «Fersen?! Voi qui?!» al più rilassato «Già, è vero… come state?» quando il conte aveva giustificato la sua visita perché «non si vedevano da tempo». 

«Io torno dentro Oscar. Vogliate scusarmi, conte di Fersen» disse, rivolto all’uomo, chinando il capo in segno di commiato.

Tenne la testa bassa per un po’, amareggiato per la figuraccia fatta di fronte al conte, oltre che ad Oscar, e realmente provato dall’allenamento, data l’enorme difficoltà che aveva avuto nel gestirlo. La nonna lo guardava dal portone d’ingresso aperto, con l’aria preoccupata, tormentandosi il grembiule tra le mani. La fissò anche lui intensamente, fino a quando le arrivò vicino, e addolcì lo sguardo, dicendole, ridendo, che il riposo degli ultimi tempi gli aveva fatto perdere colpi. 
 

Dovrò far visita al dottor Lassonne 
 

André si era chiesto che cosa mai potesse volere il conte. Non era insolito, in passato, che egli frequentasse più o meno assiduamente palazzo Jarjayes, con grande gioia di Oscar, ma negli ultimi tempi – in effetti dal ballo in cui Oscar aveva partecipato vestita da donna, se ci pensava bene – non era più venuto in visita. Non ci aveva messo tanto a fare due più due e capire che le due cose fossero collegate ma ciò che non riusciva a capire era perché egli si fosse fatto vivo, dopo tutto quel tempo.

Si passò la mano tra i capelli, cominciando a slacciarsi la camicia per prepararsi al bagno. Non aveva mai acconsentito che fossero i domestici a preparare la vasca per lui e l’unico tipo di aiuto che accettava era quello di farsi portare, a volte, l’acqua calda da stemperare con quella fredda per ottenere la temperatura adeguata. Tolse via la camicia, poi i pesanti stivali e infine i pantaloni, gettandoli su una sedia. Completamente nudo si immerse nella vasca, appoggiando la schiena e abbandonando le braccia lungo il bordo della vasca.  

Un respiro profondo.  

Cercò di rilassarsi, sciacquandosi il viso mentre il vapore dell’acqua calda cominciava a diffondersi, lentamente, in tutta la stanza.

 

** 


«… una donna che vi assomigliava moltissimo. Mi era stato riferito che era una contessa che veniva da un paese straniero e da quella sera non ho avuto più occasione di vederla alla reggia» 

André poteva percepire una voce maschile proveniente dalla stanza in cui Oscar aveva ricevuto il conte. Gli era stato detto di servire del vino quando ciò che vide lo fece arrestare, dietro il battente della porta. Fersen si era infatti alzato dalla sua poltrona e, protesto verso Oscar; le teneva saldamente il polso. Ebbe paura, si, paura di quell’inusuale atteggiamento e se la discrezione del suo comportamento l’aveva inizialmente fatto arretrare di qualche passo, dovette poi trattenersi per non entrare, perché sapeva che non sarebbero dovuti essere affari suoi.

«Oscar io ho pensato.. ho pensato che.. che solo voi potevate essere quella contessa. Se volete saperlo.. è stato il vostro comportamento a tradirvi..»

Lei, gli occhi sbarrati dallo stupore e consapevole che la sua reazione di quel momento, che era la stata la stessa di quella sera, aveva sciolto ogni dubbio al conte, distolse lo sguardo dall’uomo, incapace di continuare a guardarlo negli occhi, cosa che si era ben guardata dal fare, in effetti, per tutta la sera. Poi era riuscita chissà come a divincolarsi dalla stretta ed era fuggita via, da quella stessa porta in cui André stava osservando la scena.

Non si accorse nemmeno di lui.  

Lo scambio di sguardi tra lui e il conte, quando questi uscì dalla stanza per raggiungere Oscar, fu molto intenso.

Lo stupore iniziale di trovarselo lì di fronte, consapevole che aveva assistito a tutta la scena, si leggeva perfettamente nell’espressione del volto e nell’atteggiamento imbarazzato del conte, salvo poi realizzare che era piuttosto ovvio: si trattava di André, sarebbe stato strano che non gravitasse attorno a madamigella Oscar. E solo in quel momento, l’amarezza dello sguardo verde acqua che André gli rivolse, riportò il conte indietro di oltre dieci anni, quando André, visibilmente fuori di sé per la paura di perdere Oscar, gli aveva quasi gridato che «No, conte di Fersen, adesso Oscar è un uomo. Ha ricevuto un’educazione maschile: resterà per sempre un uomo, se vivrà»[1]: e comprese cosa rappresentasse quella donna per il suo attendente. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, a testa bassa, uscì fuori.

André poté osservare che stava raggiungendo Oscar in un punto del parco nascosto alla sua vista, probabilmente le scuderie. Non poteva seguirli anche se Dio solo sa quanto avrebbe voluto. 
 

** 
 

Dopo un po’ era tornata, riconosceva i suoi passi e il rumore dei tacchi delle sue scarpe, cadenzato dal passo deciso di lei, stavolta svogliato, indolente. L’aveva seguita dentro il salottino ed era lì, abbassata su un ginocchio, a raccogliere i mille pezzi di vetro caduti per la fuga di lei di prima. Lentamente, ne raccoglieva uno alla volta con la mano destra mettendolo poi nella mano sinistra aperta, appoggiata al ginocchio.  

«Posso fare qualcosa per te, Oscar?» 

Quante sfaccettature contenevano quelle semplici parole, ma lei non le avrebbe mai capite.

E provò una fitta al cuore, una pena infinita, quando vide il volto mesto, parzialmente illuminato dalle fiamme del camino ancora acceso, e il tono di voce incrinato con cui lei gli rispose con un “no”, deciso, ma non privo di un tremore per il pianto appena trattenuto, volgendosi poi subito dopo verso il tappeto. Lo faceva soffrire il fatto di non poter aggiungere altro, di dover frenare tutto quello che aveva nel suo cuore e, se solo gli fosse stato permesso, l’avrebbe stretta forte fino a farle dimenticare persino il suo nome.

Uscì silenziosamente dalla stanza, lasciandola sola con il suo dolore e, di colpo, tutto diventò buio. Il fiato gli si mozzò in gola e allungò le mani cercando a tentoni le pareti del corridoio. Riuscì a fare qualche passo, completamente al buio, quando una sporgenza alla base di una colonna del corridoio lo fece inciampare in avanti.  
 

Oscar.. aiutami…

 

Pensò, ma non poteva certamente dirle quello che gli stava accadendo e della paura che lo attanagliava in quei momenti. Finalmente, riuscì faticosamente a rimettersi in piedi mentre un candelabro del corridoio, che riusciva a distinguere appena nel buio, gli consentiva di orientarsi e raggiungere la sua stanza dove stette appena il tempo necessario per prendersi la giacca, e scappare via, verso le scuderie. Mentre raggiungeva il suo cavallo che si era avvicinato al recinto, salutandolo a modo suo vedendolo entrare, inciampò nuovamente su un secchio di mangime. Non era soltanto terrorizzato per il mondo attorno a lui che sentiva adesso estraneo e pericoloso, ma anche umiliato per non riuscire nemmeno a stare in piedi. Soltanto l’idea che lei potesse vederlo in quelle condizioni gli bloccava il respiro, agghiacciandolo. 


 

Il cavallo nero procedeva al passo lungo la strada di ritorno a casa. La testa bassa, piena di alcool e pensieri e parole che venivano fuori da sole prima ancora di essere formulate.

A differenza di palazzo Jarjayes, dove la sera, dopo che la servitù era stata congedata per la notte, regnava un profondo silenzio, tipico di una dimora immersa in un grande parco, in mezzo alla campagna, Parigi era molto diversa: la notte soldati, giovani e gente di passaggio o, semplicemente, chi non aveva un posto dove stare, animavano una città che non andava a mai a dormire. 

«Che serata.. Quanto ho bevuto.. Quanti pugni ho dato e quanti ne ho presi... Per dimenticare non c’è niente di meglio che bere, già.. ah.. però.. come ci sente male dopo..» 

Aveva trovato un po’ di pace lì, alla Bonne Table, tra quei rudi ma simpatici soldati della guardia. Era stato uno di loro ad avvicinarsi perché evidentemente non riusciva a spiegarsi come la sua allegria e quella dei suoi compagni non fosse nemmeno notata da quell’uomo curvo sul suo boccale di vino. L’aveva invitato a cantare insieme a loro e lui, che non chiedeva altro che distrazioni, aveva accettato di buon grado la sua proposta senza sapere che il suo «D’accordo, vi ringrazio. D’accordo, mi unisco volentieri a voi» l’avrebbe poi coinvolto come parte più che attiva di una rissa coi fiocchi, scatenata solo perché non si sa chi aveva fatto cadere una bottiglia di vino, di cui ora il suo corpo sentiva i dolori postumi, insieme alla sbornia che, ora, stava scemando lasciando che la lucidità mentale tornasse pian piano, insieme ai brutti pensieri. 

Oscar.. anche se mi ubriaco.. non riuscirò mai a non pensare che tra poco anche l’occhio destro perderà la luce del sole.. 

E fu allora che nelle ombre un urlo agghiacciante aveva squarciato il silenzio della notte. La disperazione è la peggiore nemica di chi è solo e non può condividere il suo dolore con nessuno, così la disperazione accompagnava quella notte André, lungo la strada di casa, incapace soltanto di pensare a come la sua vita sarebbe cambiata e a come sarebbe stato difficile, se non impossibile, far finta che tutto potesse rimanere immutato. Si chiedeva come avrebbe fatto a ricoprire un giorno il suo incarico a palazzo Jarjayes e, ancora più importante, quello al fianco di Oscar.  

Ma la cosa che più mi fa soffrire.. è che non potrò più vedere te.. 

Non aveva mai chiesto niente a quell’amore e, ora, l’unica gioia posseduta – vederla sfiorare dai raggi del sole al mattino, a casa, o quelli rossi del sole al tramonto; i suoi occhi addolciti dai brevi e inaspettati sorrisi – stava per abbandonarlo lasciandolo in un completo ed inevitabile oblio.

Si stupì quando rientrando vide la donna seduta sulla poltrona davanti al caminetto e, stranamente, sembrava che avesse proprio aspettato il suo ritorno. Appena l’aveva visto rientrare, infatti, gli aveva subito chiesto che cosa gli fosse successo e che sua nonna era molto preoccupata per lui. Lui però si era guardato intorno e non c’erano tracce della nonna che, se fosse stata così preoccupata, l’avrebbe sicuramente aspettato in piedi. Aveva usato un tono duro e André comprese che il peggio era passato. Questo pensava e, evitando volutamente di rispondere, le disse di rimando che cosa stesse succedendo a lei e perché non riuscisse a dormire. L’aveva guardato con intensa durezza, senza dargli una risposta che, la donna ne era più che sicura, conosceva già. Voleva forse infliggerle un’ulteriore umiliazione? Lui aveva perciò accusato il colpo, pentendosi delle sue parole, forse troppo e inutilmente dure, e si era avvicinato al camino, spostando il discorso sul fuoco che si stava spegnendo. Mentre si abbassava su se stesso, sistemando i tizzoni di legno per farli divampare, lei l’aveva spiazzato:

«André..»

«Si?»

«Ho deciso.. di lasciare la guardia di Sua Maestà» 

Si era voltato, guardandola con aria severa e pensando che non era da lei prendere decisioni così avventate per un motivo così stupido. Trovava assurdo che lei avesse deciso di lasciare l’incarico che ricopriva da anni solo perché, a corte, avrebbe continuato a vedere Fersen. Non gliel’aveva detto ma non c’era nessun’altro motivo plausibile per giustificare questa decisione, di questo ne era certo. Lei aveva prontamente evitato di guardarlo, proprio perché sapeva che il suo amico non avrebbe condiviso la sua scelta e, prima ancora di poter ricevere una risposta o un commento, gli aveva augurato la buona notte ed era salita in camera.

 

*

 

Lasciare la guardia reale.. non era stata una decisione facile, la sua, ma non sapeva cos’altro fare. Aver osservato per tanti anni l’amore tra Fersen e Maria Antonietta e tutto ciò l’aveva fatta enormemente soffrire, soprattutto dopo il ritorno di lui dall’America. Fersen era stato il primo uomo a farle battere il cuore, a farla sentire una donna dentro e a farle desiderare sentimenti ed emozioni tutte femminili, cose che aveva quasi biasimato fino a quel momento: in tante circostanze aveva pensato questo, osservando i corteggiamenti tra le dame e i gentiluomini di corte e altrettante volte aveva ringraziato dentro di sé il padre che, con la sua decisione di crescere la sua ultimogenita come un uomo, le aveva riservato una vita diversa e sicuramente migliore di quella di tutte le altre donne. Fersen era un uomo straordinario, capace di provare un amore vero ed incondizionato, al punto da decidere di partire ben due volte, per salvaguardare la donna amata. E questo l’aveva colpita. Poi, quando aveva dichiarato che non voleva che si sapesse del suo ritorno in Francia, che non voleva dir niente alla regina, aveva sperato che lui, prima o poi, si sarebbe accorto di lei. Fersen sarebbe stato un marito eccezionale: ammirava il suo coraggio, la sua determinazione e, aveva sperato che un giorno avrebbe potuto arrivare anche ad amarla, nonostante la sua vita fosse tutt’altro che convenzionale, si era detta. Poi si era dovuta ricredere, quando lo aveva visto ritornare sui suoi passi e decidere di stare vicino a Sua Maestà e, nonostante tutto, aveva stupidamente deciso di vestirsi da donna per presenziare a quel ballo e si era amaramente pentita quando, fuggendo via, sentiva ancora l’eco di quelle parole che le si erano scolpite nella memoria 

«Questa ragazza di cui vi parlo è il mio migliore amico» 

Non riusciva nemmeno a considerarla come una donna e, tutto sommato, la cosa avrebbe dovuto già esserle abbastanza chiara, dopo che le aveva detto di non sapersi spiegare come mai Dio l’avesse fatta nascere donna. Era stata debole, stupida e cieca e illusa, se credeva che l’avrebbe passata liscia e che lui, quella sera, non si accorgesse di chi fosse quella donna tra le sue braccia.

E in quel tardo pomeriggio, quando l’aveva sentito dichiarare la fine del duello con André, aveva capito che era lì per un motivo ben preciso. Sperava fino all’ultimo che lui non si rivelasse, che continuasse a recitare la commedia, che facesse finta di niente. E il suo tentativo, perfettamente riuscito, di strapparle via la maschera, l’aveva costretta a dare un taglio netto alla loro amicizia, perché non sarebbe più stata in grado di sostenere il suo sguardo, di continuare ad essere il suo migliore amico, e odiava l’idea di poter essere commiserata, cosa che lui aveva iniziato a fare ipotizzando che, chissà, se avesse saputo prima che lei era una donna, forse allora..

E lei l’aveva fermato appena in tempo, mentendogli, perché aveva già cancellato certi sentimenti dal suo cuore. Il che era vero in parte perché, dalla sera di quel ballo, si era resa conto dell’effettiva impossibilità di essere amata da lui, e questa consapevolezza l’aveva fatta rialzare la testa, ma non era certamente facile cancellare certi sentimenti. 

Lasciare la guardia reale era una decisione drastica, che avrebbe creato molti problemi e suscitato tante domande. La regina sarebbe stata la prima a chiedere spiegazioni. Poi sarebbe stata la volta di suo padre, di cui avrebbe dovuto sopportare l’ira: per tutta la vita aveva desiderato che la figlia seguisse la sua strada e che diventasse, un giorno, generale, degno erede della famiglia. Ma a lei non importava più e avrebbe accettato qualunque altro incarico, anche meno prestigioso, pur di andare via.

Desiderava inoltre ritrovare la gaiezza dei giorni passati, quelli in cui non capiva ancora che differenza ci fosse tra lei e il suo compagno di giochi; giorni felici, spensierati, senza conoscere l’amore e le sue conseguenze.

 

*

 

Il giorno dopo Oscar chiese udienza alla regina per comunicarle la sua decisione di lasciare la guardia reale. Nel pomeriggio, era ritornata a casa e, senza neanche cambiarsi d’abito, era andata nelle stalle, aveva preso il suo cavallo ed era corsa via al galoppo lungo il parco dietro l’edificio. André, l’aveva seguita, fermandosi poi sotto una quercia. Era sceso da cavallo, legato le briglie attorno al tronco e, in piedi, appoggiato all’albero con una mano, la guardava mentre faceva impennare il cavallo, facendolo fermare di colpo e mandandolo poi al galoppo, per poi girarsi dall’altro lato e ripetere la stessa operazione. Non riusciva a vederla nitidamente, anche per la distanza da cui la stava osservando, ma dalle grida con cui spronava e, a turno, fermava il cavallo, immaginava il suo viso tirato e lo sguardo severo di chi si sforza di tenere sotto controllo qualcosa, le redini del cavallo come quelle della propria vita. 

Avendo detto addio a Fersen vuoi fuggire dalla regina Maria Antonietta che Fersen ama? Se fuggire fosse la soluzione io sarei fuggito da te tanto tempo fa, Oscar... 

La donna si era evidentemente accorta della presenza del sua amico e, in tutta risposta, fece dietrofront passando, al galoppo, a pochi centimetri da André, probabilmente infastidita dalla sua presenza anche quando voleva stare da sola.  

È inutile fuggire, Oscar.. credimi.. 

Lui comprendeva perfettamente cosa significasse amare senza essere riamati. E la sofferenza non è mai abbastanza quando vedi la persona che ami, invaghirsi di qualcun altro e sperare che egli non si accorga mai di lei. 

 

Tornando indietro con la mente, cercava di ricordare il momento, l’attimo esatto in cui si era innamorato di Oscar realizzando, infine, che il suo amore era cresciuto col tempo, insieme alla loro età. Ricordava alcuni eventi in cui aveva provato – lo ricordava ancora – sentimenti molto forti ma, ancora in giovane età, non ne aveva compreso il loro fondamento. La profonda tristezza, e la paura che Oscar, assunto il nuovo incarico al fianco di Maria Antonietta, avesse messo da parte la loro amicizia e poi, dopo, il sollievo di sapere che così non era e che, anzi, aveva messo la sua vita in gioco pur di salvargli la sua. Il terrore di vederla morire in duello con il duca di Germaine, mentre suo padre, al contrario, pensava solo a quanto fosse fiero e sicuro di suo figlio e della sua vittoria.

Dopo il ritorno da Arras, aveva iniziato a guardarla con occhi diversi. Lui stava crescendo e il suo corpo glielo diceva sempre più e aveva cominciato, senza volerlo, a guardarla con maggiore attenzione, osservando piccoli particolari che gli erano sfuggiti o, chissà, a cui non aveva dato mai importanza; e rendersi conto di quali turbamenti suscitavano in lui tali attenzioni.

E allora, aveva compreso perché sua nonna lo tormentava ricordandogli costantemente che lui era solo un servo. 

Una volta aveva provato ad allontanarsi, chiedendo al generale di concedergli il permesso di visitare dei lontani zii in Bretagna che gli avevano scritto, invitandolo a stare da loro per qualche tempo. Il generale era molto soddisfatto del modo in cui André svolgeva il suo incarico di attendente presso la sua casa e non gli aveva negato questa possibilità, a patto che avesse fatto ritorno entro un mese.

«Perché questa partenza improvvisa, André?» gli aveva chiesto la nonna la sera prima della partenza. Lui aveva alzato gli occhi, in mano ancora i vestiti da piegare e riporre nel bagaglio, e le aveva risposto con un secco «Devo, nonna».

Lei sembrava aver capito, perché non aveva fatto altre domande.  

Il periodo in cui era stato via gli era sembrato lunghissimo e i suoi sentimenti non si erano per niente assopiti, anzi. Una sera si era fatto coinvolgere dal cugino Michel e un gruppo di suoi amici, a passare la serata in città. Qui, entrati in una taverna, si erano fatti servire da bere ed erano stati subito attorniati da prostitute. André era stato l’unico, insieme a Philippe, un timido ragazzotto, il più piccolo della comitiva, a resistere ai diversi tentativi di approccio ma, col passare delle ore e il notevole aumento dell’alcool nel sangue, oltre che delle sollecitudini dei suoi amici, aveva ceduto e, tra gli incitamenti del cugino e dei suoi amici, si era diretto in una camera al piano superiore. Era visibilmente imbarazzato e a disagio André e, quando la ragazza l’aveva preso per mano, trascinandolo verso il letto, lui aveva avuto un ripensamento, perché no, non poteva fare l’amore con quella sconosciuta, con chiunque non fosse Oscar.

«Non ti piaccio abbastanza?» Aveva chiesto lei, con le labbra di una ragazzina cresciuta troppo in fretta che nemmeno il trucco pesante riusciva a involgarire.

«No, non sei tu. Scusami»

Così dicendo, aveva preso delle monete dalla tasca, le aveva lasciate sul mobile di scarsissima qualità vicino la porta e stava per andare via. Lei, toccata dal gesto e dai modi gentili di lui gli aveva detto di trattenersi ancora un po’, almeno quanto bastava per far credere ai suoi amici di aver fatto quello che loro si aspettavano e per il quale, alla fine, era stata pagata lo stesso. André, sollevato dalla comprensione e dalla gentilezza di lei, aveva acconsentito. Non aveva voglia di dare spiegazione e, anche qualora le avesse fornite loro, non sarebbe mai stato capito e l’avrebbero preso per pazzo. Forse lo era, pensò.

«Sei innamorato, vero?»

Dopo i primi attimi di stupore, l’uomo aveva sorriso, l’aria di chi è stato colto in flagrante, rispondendo con una candida ammissione: «Si».

La ragazza aveva cominciato a spazzolarsi i capelli nella toletta, guardandolo attraverso il riflesso dello specchio

«Deve essere una ragazza molto fortunata, se ha un ragazzo che la ama così tanto»

«Si.. beh.. ecco..» una mano dietro la nuca, l’altra sul fianco, «.. peccato che lei non sappia nemmeno che esisto»

La ragazza si era fermata con l’aria sconvolta e, non potendo credere alla mancata considerazione di tanto ben di Dio[2], si era alzata, avvicinandosi all’uomo così sinuosamente da far ricadere André nel più totale imbarazzo. L’aveva guardato negli occhi poi, aveva abbassato lentamente e in modo eloquente lo sguardo sul corpo del giovane, per ritornare di nuovo al suo viso, gli occhi, e poi: «Peccato»

«Devo andare. E scusami ancora per averti fatto perdere tempo. Buona fortuna.»

Si era sottratto così ad una delicata, quanto spinosa situazione ed era uscito fuori dalla stanza, accolto dalle domande piuttosto impertinenti della comitiva, a cui si era abilmente sottratto di rispondere per discrezione e galanteria.

Quella sera aveva deciso che il giorno dopo sarebbe stato l’ultimo che avrebbe passato dagli zii: giusto il tempo di riaversi dalla sbronza e di fare i saluti per il tempo necessario a non sembrare maleducato, poi, sarebbe tornato a Parigi. E la gioia che aveva provato quando l’aveva rivista, accogliendola all’ingresso di palazzo Jarjayes mentre lei era di ritorno dalla reggia, era stata così intensa che non era passata inosservata tanto che la stessa Oscar, scesa da cavallo e visibilmente felice di rivederlo, gli aveva detto:

«Bentornato, André. L’aria bretone deve essere ottima. Ti trovo molto bene»

E, da quel momento, aveva saputo che non sarebbe stato più in grado di starle lontano, a qualunque costo, non aveva importanza.

 

*

 

Non si era fatto intimidire, André, dalla foga con cui lei gli era passata pericolosamente vicino. Ripreso il cavallo e, riscossosi dai pensieri, l’aveva seguita al galoppo fino alle stalle. In silenzio, aveva iniziato a slacciare le cinghie della sella quando lei lo chiamò: 

«André..»

«Uhm?»

«Ricordi questi segni che abbiamo fatto sul legno?»

L’aveva raggiunta poco vicino, di fronte ad una parete in legno in cui erano stati intagliati i nomi di “Oscar” e “André”, uno accanto all’altro, e sulla cui sommità sorgevano delle incisioni orizzontali.

«Si, certo, li ricordo. È successo uno dei primi giorni che sono venuto in questa casa: misuravamo la nostra altezza»

«È successo ventitré anni fa, quando io ero ancora convinta di essere un maschio. Allora non sapevo niente dell’amore..»

Oscar teneva la testa bassa e André vi osservò una profonda tristezza. Non doveva essere facile affrontare questi discorsi, mai fatti in passato.

«Sono stata allevata come un uomo.. ma Fersen mi ha fatto ricordare all’improvviso che sono una donna. Ma oggi io ho deciso che cosa essere»

«Dici davvero Oscar?»[3]

«D’ora in avanti voglio vivere come un uomo e voglio cancellare per sempre questi attimi di debolezza che ho avuto». Aveva alzato la testa, i pugni alzati come se volesse fisicamente combattere. Lo fronteggiava, cercando col tono deciso della voce di mascherare la rabbia, quasi a volerlo convincere delle sue azioni.

«Anche a costo di essere un semplice soldato, non m’importa! Lo capisci? Voglio andare sui campi di battaglia, combattere il nemico imbracciando un fucile. Sicuro! Voglio vivere come un vero uomo».

«Voglio ritrovare quell’età in cui credevo di essere un maschio» un ultimo sguardo gettato alle incisioni sul legno. «Devo ritrovarla!» concluse, dirigendosi a passo deciso verso l’uscita.

Era se stessa che cercava di convincere, André lo sapeva bene, mentre osservava la donna andare via. Aveva sperato che avesse finalmente compreso che certe cose non sarebbero mai cambiate, come il fatto che lei era, e sarebbe sempre stata, una donna e, nonostante fosse convinto dell’assurdità delle parole che aveva appena sentito, le fece una profonda tenerezza vederla, forse per la prima porta, quasi indifesa, scegliere una fuga su tutta la linea piuttosto che affrontare il problema col solito piglio con cui, generalmente, affrontava i suoi ostacoli. Avrebbe comunque trovato il modo di seguirla ancora, si disse.

All’improvviso i raggi del sole al tramonto, che entravano lungo la porta aperta della stalla, gli procurarono una dolorosa fitta. Premette la mano nell’occhio, affinché la luce smettesse prima o poi di dargli fastidio. 

«Oscar… Oscar!» 

Si rese conto di essere stato sconsiderato nel gridare a quel modo quando, dopo qualche secondo, la donna ricomparve sulla soglia della porta chiedendogli cosa gli fosse successo. Dalla tranquillità con cui gli si era rivolto, André capì che non era riuscita a percepire il grido, ma solo il suo nome ed ebbe appena il tempo di ricomporsi rassicurandola che niente, non gli era successo niente e che si era sbagliata a credere che l’avesse chiamata.

 

*

 

Qualche giorno era passato da quel dialogo. Avevano già cenato e Oscar era andata in camera sua. André era rimasto su una sedia a dondolo vicino la rampa delle scale principali, cercando un po’ di tranquillità. L’invenzione di Bach che Oscar stava suonando l’aiutava.

La mattina precedente si era deciso a far visita al dottor Lassonne. Non era stato facile prendere quella decisione, perché sapeva che, una volta che fosse andato e avrebbe spiegato i suoi problemi, questi avrebbero preso una terribile concretezza e, se da un lato avrebbe voluto rimandare quella visita il più possibile, dall’altro si rendeva conto dell’urgenza di sapere quali fossero realmente le sue condizioni e fino a che punto avrebbe potuto porvi rimedio. Si sentì chiamare dal piano superiore dalla nonna, che si era affacciata dalla ringhiera. Alzò la testa per guardarla.

«Mi hanno detto che ieri mattina sei andato dal dottore.. per quale motivo, André?»

«Niente di particolare nonna. Una semplice visita di controllo.. Ha detto che l’occhio destro se la cava bene anche da solo»

«Mi fa molto piacere saperlo, André. Vedi, ero un po’ preoccupata per te in questi giorni.. si, il tuo comportamento era alquanto strano»

«Non ti preoccupare! Sto benissimo! Ahahaha!»

Ma evidentemente la nonna, che nonostante l’età non mostrava di perdere il suo solito acume, aveva notato qualcosa.

Ritornò alla sua posizione precedente, con la schiena e la testa appoggiata lungo lo schienale della sedia, le braccia ad occupare i braccioli, ricordando il colloquio col medico.
 

«Quando è stata la prima volta che ti si è offuscato l’occhio destro»

«Vediamo.. una settimana fa..»

«Uhm capisco»

«Dottore.. io ho paura! Temo di perdere anche l’occhio destro»

«Uhm..»

«Diventerò cieco..?»

«No.. non posso dirlo con certezza. L’occhio destro si è molto affaticato di recente, ovviamente..»

«Ditemi tutto, vi prego..»

«Ecco.. non ne sono sicuro..»

E alla fine aveva concluso che non poteva fare previsioni in quel momento. Gli aveva raccomandato di far riposare l’occhio il più possibile e di cercare di evitare i posti bui o con una luce insufficiente, affinché l’occhio non fosse costretto ad ulteriori sforzi. André aveva risposto che avrebbe fatto del suo meglio per seguire i suoi consigli anche se, contemporaneamente, realizzava che, se avesse voluto tenere tutto nascosto, non avrebbe certo potuto modificare le sue abitudini. Si fece promettere di non dire niente ai Jarjayes, né alla nonna. Ai primi, per non avere problemi sul lavoro – il che ovviamente non era vero, non per Oscar almeno, ma il dottore vi avrebbe creduto, suppose – alla nonna, invece, per non darle ulteriori preoccupazioni. Il medico lo rassicurò, pregandolo di ritornare qualora i disturbi si fossero acuiti.

 

Ciò che lo tormentava più di ogni altra cosa era il pensiero di come avrebbe fatto a proteggerla se non era nemmeno in grado di scambiare dei colpi di spada in maniera dignitosa, e come avrebbe potuto continuare a stare al suo fianco.

Con questi pensieri si alzò stiracchiandosi dalla sedie, diretto nella dispensa delle cucine, ma venne scoperto dalla nonna mentre prendeva una bottiglia di vino ed un bicchiere:

«André..! Invece di perdere tempo a bere, dammi una mano. Porta questo vassoio a madamigella Oscar»

«Si, si, certo nonna, vado subito» rispose un po’ impacciato per essere stato colto nel fatto e, al contempo, sollevato dal fatto che la nonna non gli avesse chiesto spiegazioni. Ripose la bottiglia e il bicchiere laddove li aveva presi e, preso il vassoio che la nonna gli aveva indicato, iniziò a salire la rampa di scale verso la stanza di Oscar. Dopo aver bussato piano, aprì la porta e la vide accoglierlo con un sorriso, ringraziandolo per la cortesia di averle portato il the. Non smise di suonare e André, appoggiato ad una consolle nell’anticamera dove la donna stava suonando, continuò ad ascoltarla fino alla fine. Pensava con profonda malinconia quante altre volte gli sarebbe stato concesso vederla ancora suonare.

La donna, terminato il pezzo, si alzò dal piano, prendendo la tazza dal vassoio che André aveva appoggiato sul pianoforte, dirigendosi verso la camera da letto.

«Bene Oscar, buona notte» disse lui, lasciandola preparare per la notte.

Continuando a sorseggiare dalla tazza, Oscar lo fermò:

«Aspetta, devo parlarti»

L’uomo si arrestò, tornando indietro. Lei, senza voltarsi, continuò:

«Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo volevo dirti che non intendo più continuare ad avere il tuo aiuto, André»

Posò la tazza su un piccolo mobiletto vicino l’apertura ad arco che divideva l’anticamera dalla camera da letto.

«Vedi, io ancora non so quale sarà il mio prossimo incarico ma appena lascerò la Guardia Reale credo che non avrò più bisogno di te»

La guardava divorandosela con gli occhi André, nella consapevolezza che la sua vista stava via via scemando e arrabbiato per quell’abbandono a cui lo stava costringendo senza, evidentemente, nessun’ombra di rimpianto.

«Devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno. Buona notte, André» 

Credimi, fa più male a te che a me ma devo farlo.. 

Questo non avresti dovuto dirlo. 

Si decise a seguirla: doveva assolutamente dirle quello che pensava, anche se aveva giurato che non gliene avrebbe più parlato.[4] 

La raggiunse nella camera da letto, semibuia, illuminata solo da una candela sul comodino accanto a letto e dalle luci provenienti dall’anticamera.

«Anch’io ti devo dire una cosa. Una rosa è una rosa anche se essa sia bianca o rossa»

Lei si voltò, stupita da quelle parole.

Lui fece un passo avanti.

«Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar»

Sapeva che quelle parole non l’avrebbero certo lasciata indifferente ma a quel punto non gli importava più e continuò a guardarla, pronto a qualunque reazione di lei che, montata di rabbia perché il suo amico, come sempre, aveva colto nel centro dei suoi punti deboli, stavolta non si era limitato a commentare con espressioni figurate più o meno velate, ma era stato diretto e preciso, volendola colpire di proposito. Si avvicinò a lui, parlandogli con ira sempre più crescente.

«Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso? Questo vuoi dire?»

Lui non rispondeva e questo la fece sentire ancora più stupida per ciò che aveva appena detto.

«Rispondimi! Mi devi rispondere André!»

E così lo colpi sulla guancia sinistra con un sonoro schiaffo, lo prese per il colletto avvicinandolo a sé e guardandolo dritto negli occhi con una ferocia che non gli aveva mai rivolto prima di quel momento.

«Lo voglio sapere! È importante per me»

André la guardava, gli occhi piantati nei suoi, i due corpi, vicini, vicinissimi, scossi dalla tensione. L’uomo strinse le labbra, continuando a guardarla negli occhi. Le circondò i polsi delle mani che lei teneva ancora sul colletto della sua camicia e vide la donna abbassare lo sguardo su quelle mani, così grandi, che la costringevano a lasciare andare il suo colletto e ad appoggiare i pugni sul suo petto.

Non gli era mai stata così vicino prima d’ora e poté sentire il profumo della sua pelle e il respiro più corto attraverso il movimento del petto che - la donna sentì per la prima volta in vita sua - tonico e asciutto.  Poi lo sguardo di lei si rivolse di nuovo a lui, stavolta interrogativo, e la sua voce rabbiosa di prima era scemata, diventando quasi supplichevole, pur mantenendo ancora un certo tono controllato:

«Così mi fai male André»

L’avvicinò a sé appoggiando le labbra alle sue con forza. Oscar, in un primo momento sorpresa, non era riuscita a svincolarsi da lui che continuava a tenere stretti i suoi polsi, e rimase di sasso quando André riuscì a socchiuderle le labbra, conferendo maggiore intensità al bacio rubato.  

Amore.. amore mio.. 

La spinse col suo corpo giù, sul letto di lei, passando dalle labbra al collo della donna. E fu in quel momento che lei, riavutasi e, finalmente in grado di fare uso della sua bocca, gridò.

«Lasciami André, o chiamo aiuto!»

Ma lui non riusciva a sentirla, preso com’era dal suo profumo, dal corpo di lei così aderente al suo e, nella furia del momento, nella terribile consapevolezza che presto non l’avrebbe più potuta vedere, le aveva strappato la camicia di lino, perché le labbra e il collo non gli bastavano più…[5]

E fu allora che, sollevandosi da lei, poté vedere i suoi occhi pieni di orrore. 

Perché.. perché André…?  

Rimase immobile, nella mano sinistra ancora il brandello di camicia.

«Bene, e adesso? Che cosa vorresti farmi André…? Che cosa vuoi provare…?»[6]

Lacrime cominciarono a rigarle il viso completamente girato a destra, nel rifiuto di voler vedere ancora oltre.

Fu questo che fece riscuotere André, finalmente tornato in sé e sconcertato per quello che aveva fatto. Il pezzo di stoffa cadde della sue mani mentre calde lacrime cominciarono a scorrergli lungo il viso.

«Ti prego, perdonami Oscar. Giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa come questa»

E, così dicendo, coprì la donna, in posizione fetale, ancora tremante, con il lenzuolo. Si allontanò da lei ma, prima di lasciare la camera, stavolta fu lui a parlare senza avere il coraggio di guardarla, perché quello che stava per dire non giustificava l’azione che aveva appena compiuto, e per la quale avrebbe provato sempre un’indicibile vergogna.

«Una rosa.. non potrà mai essere un lillà. Ascolta Oscar, non potrai mai cancellare di essere nata donna..»

Sapeva che lei lo stava ascoltando, perché le stava dando la risposta al suo interrogativo, e allora aggiunse:

«Per vent’anni ho vissuto con te.. e ho provato dell’affetto per te.. solo per te.. io ti amo Oscar. Credo.. di averti sempre amato..»

E, così dicendo, lasciò le sue stanze.

 

Fine Parte Quarta

Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it ) 


 

[1] È proprio vero che ogni volta che guardo l’anime o leggo il manga, riesco a percepire aspetti di cui non mi ero accorta prima. Non ho mai posto, forse, l’attenzione giusta su questo sfogo di André presente nell’episodio 8, anche se rimango del parere che egli non sappia ancora di amare Oscar. E penso che il conte di Fersen, in quest’occasione, qualche idea strana se la sia fatta ^^.

[2] E qui l’autrice, inevitabilmente, dice piuttosto chiaramente il suo punto di vista ^^.

[3] Non ho mai capito perché André risponda con tanto stupore ad una domanda così stupida come “Ho deciso cosa essere”, visto che Oscar è una donna e André è il primo a tenerlo sempre presente (vedi ep. 1). Al che ho deciso di confrontare l’edizione italiana con quella giapponese. Lo stupore di André deriva da un’affermazione di Oscar di tutt’altra natura, in cui dice “Sono cresciuta come un uomo. Non c’è niente di sbagliato se trascorro il resto della mia vita come un uomo” e, infine “Questo è il motivo per cui voglio lasciare la guardia reale”. E André non dice “Dici davvero Oscar?” ma un semplice “Oscar..!”, spaventato, dalla scelta di Oscar di rinunciare completamente alla sua femminilità. Ci tenevo a specificarlo anche se ho comunque deciso di lasciare il dialogo nella versione italiana.

[4] Mi riferisco all’episodio 1 quando André dice: “Ma una cosa devi permettermi di dirtela e giuro che in seguito non te ne parlerò mai più. Oscar, non è ancora troppo tardi. Fermati e diventa una donna”.

[5] Si lo so che tra questo, tra la piccola libertà che mi sono presa nel capitolo 1 relativo a “Cuore di Donna”, sembra che io voglia descrivere un André un po’ fuori dagli schemi. Spero che le “puriste” non me ne vogliano, ma ho cercato di essere il più realista possibile.

[6] Su questa frase ci sarebbero due possibili significati. “Che cosa vuoi provare” potrebbe significare “Cosa vuoi provare con me questa notte” oppure “Cosa vuoi farmi capire”. Nella versione originale Oscar dice: “Allora, cosa hai intenzione di fare con me, André?” il che mi fa pensare alla prima ipotesi, anche se per anni sono stata sempre propensa per la seconda.