LO STATO DELLE COSE

Parte Terza

 

Dopo qualche breve attimo di silenzio il conte di Fersen fece alcuni passi nella stanza: guardò André sofferente e Oscar in piedi accanto a lui che non toglieva lo sguardo dal suo volto… "André vi ama molto non è vero?"
Oscar si voltò a guardare Fersen, sguardo interrogativo, ma nemmeno una parola.
"Ho sempre avuto questo sospetto, è sufficiente osservarlo mentre vi è accanto o ascoltarlo quando vi parla. Credo che André vi abbia sempre amata, ma questo voi lo sapete bene"
Oscar tornò a guardare André ma questa volta ebbe la forza di rivolgere qualche parola al conte: "Vi prego, questo non è il momento per parlare di questo, l'unica cosa importante è che André si rimetta presto". La voce spezzata, sconvolta… cambiata.
"Sì certo, perdonatemi; voglio però dirvi ancora una cosa, André via ama più della sua stessa vita, questo lo sapete, ma sapete anche di amarlo altrettanto intensamente?"
"Fersen voi non capite, André e io siamo cresciuti insieme, ci vogliamo bene certo, ma come fratello e sorella"
"Non scherzate Oscar, André non vi ha mai considerata una sorella, non vi guarda come si guarda una sorella, per lui siete la donna della sua vita, una donna da amare. E anche voi Oscar non pensate certo a lui come a un fratello, non ho forse ragione?"
"Fersen basta, vi ripeto non è questo il momento…"
"D'accordo, come volete… Oscar ho deciso di andarmene. È tempo per me di far visita alla regina e di annunciare il mio ritorno".
"Non c'è bisogno che ve ne andiate Fersen: vi ho detto che potete rimanere fin quando volete", ma lo sguardo di lei rimaneva fisso sul volto di André.
"Siete stata molto gentile con me madamigella Oscar" Fersen voltò le spalle e si diresse alla porta dove aggiunse "Non mancherò di interessarmi alla salute di André. Auguro a entrambi che vada tutto bene. Oscar non abbiate paura di amare, è così difficile essere felici in amore, non fuggite dalla felicità quando questa ha il volto del vostro amico" e il conte di Fersen si congedò da Madamigella Oscar senza che questa si girasse a guardalo.


Sola con André e nella mente le parole appena pronunciate dal conte di Fersen: "André vi ama molto e anche voi lo amate altrettanto intensamente…"
"André" sussurò a mezza voce, "André ti prego svegliati, parlami, dimmi qualcosa… André io, io ti chiedo perdono" e i suoi occhi si riempiono di lacrime che scendendo le rigarono il volto.
Le sue mani accanto a quelle di André iniziarono ad accarezzarle prima delicatamente quasi per non farsi accorgere fino a prendere, fra le sue, la mano esangue di André. Silenzio, solo il battito del cuore a scandire gli attimi che trascorrevano. Un orologio a pendolo segnò le 10 e Oscar, senza rifletterci, assecondò un suo desiderio: portò la sua mano sul volto di André in una carezza dolce e lunga che si fermò fra i capelli sciolti dell'uomo.
Una dolcezza mai conosciuta la invase traducendosi in uno sguardo premuroso e preoccupato, in uno sguardo innamorato. Oscar carezzava André al volto, alla nuca, alle mani, le sue dita sfiorarono anche il petto dell'uomo avvolto nelle bende, quasi un tocco taumaturgico… André, l'uomo che da sempre era stato accanto a lei, il suo compagno di crescita e di vita, in definitiva il suo uomo, da accudire, da guarire, da amare…
Entrò Nanny, alla quale non sfuggì la particolarità della situazione. Silenziosamente si avvicinò a Oscar la quale, accortasi della sua presenza, non mutò atteggiamento, continuando a carezzare André… "Il medico non è ancora arrivato?" "Credo che sarà qui a momenti…Oscar… Oscar vorrei metter una pezzuola bagnata sulla fronte di André".
"Lascia faccio io".

Quando il medico giunse Oscar volle rimanere presente anche alla visita; in effetti la ferita si era rimarginata, ma il dottore rimanere comunque preoccupato.
Senza nulla dissimulare Oscar lo interrogò non appena ebbe finito di bendare André.
"Allora, come sta il mio André?"
"André è un uomo forte, molto forte e ciò che mi preoccupa non è il molto sangue perso. Sono perplesso per questa febbre; mi è stato riferito che la ferita è rimasta aperta a lungo, probabilmente a contatto con la sella o addirittura la criniera del cavallo. Ecco io credo che si sia infettata… e se non blocchiamo l'infezione la febbre non scenderà.
Dovete tenerlo sempre in osservazione e somministrargli una tisana preparata con una polvere che vi lascerò. È importante che la febbre rimanga sotto controllo, che la fronte sia continuamente refrigerata altrimenti questa volta André potrebbe non farcela."
"André non può lasciarmi, ce la farà, grazie dottore, ci penserò io a tenerlo sotto controllo, non preoccupatevi e, vi prego, tornate questa sera".

Strana cosa la consapevolezza. Semplicemente si alza un velo sull'evidenza mai accettata. Consapevolezza, così semplice, così coraggiosa, così serena. E allora ogni gesto acquista significato. Non ci si domanda più cosa fare, ma si sa esattamente cosa si vuole fare e lo si fa. Semplicemente.

Oscar prese il catino dell'acqua e si recò nelle cucine per prenderne altra, fresca, la più fresca possibile; "Mi servono delle bende pulite: portatemele al più presto nella stanza di André. Preparate inoltre la tisana prescritta dal medico e portatemela in una brocca con un bicchiere".
Tornata in camera cambiò la pezza sulla fronte dell'uomo, prese un sedia che accostò al letto di André. Si sedette accanto a lui e iniziò ad aspettare.

Aspettare, il più delle volte significa pensare, e Oscar pensò all'assenza: André era lì, davanti a lei, immobile nel suo letto; ogni tanto qualche rantolo ne denunciava la condizione. Sì, André c'era ma Oscar ne percepì l'assenza, la mancanza. Cosa sarebbe stata la sua vita senza André? Era concepibile vivere senza di lui? E come aveva potuto immaginare di avere a fianco a sé un uomo che non fosse André. Se non ce l'avesse fatta… se André non fosse sopravvissuto…Non solo non se lo sarebbe mai perdonato, ma quale vita le rimaneva da vivere? Una vita monca, privata di una parte speculare al suo essere, una vita solitaria e imperfetta che proprio non riusciva a immaginare, una vita senza André.
Tutto questo aveva qualcosa a che fare con l'amore?
Pensava Oscar e non staccava il suo sguardo da André. Ne scrutava il bel volto abbandonato, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente… Con onestà ammise di avere considerato più di una volta la bellezza di André. Non era certo insensibile al suo sguardo sempre limpido ma anche altresì segnato da qualche cosa di indefinibile, un velo di pudore a tratti simile al tormento.
E l'indecifrabile ora aveva preso forma.
Fu lunga l'attesa di Oscar, la fronte dell'uomo continuava a essere bollente, nonostante le pezze bagnate, nonostante la tisana del medico che André deglutiva a fatica. Ogni tanto un rantolo, ogni tanto un nome, ben noto alla donna, pronunciato a mezza voce. Fu un giorno lungo e denso di pensieri. Oscar non lasciava il capezzale di André nonostante Nanny la invitasse a riposare a sua volta, a mangiare qualcosa. Ben misero sacrificio il suo, qualche ora di digiuno, una mezza giornata seduta in poltrona a tenere la mano dell'uomo che amava. Perché di questo, ormai ne era certa.

Il medico tornò in tarda serata. André non era migliorato molto, ma nemmeno peggiorato, questo era confortante e alla medicina serviva tempo per agire. Fondamentale sarebbe stata la notte durante la quale la febbre doveva inevitabilmente andarsene o almeno ridursi di molto, altrimenti… altrimenti sarebbe stato troppo tardi.
La stanchezza, suo malgrado, stava emergendo ma niente e nessuno la convinse a lasciare la stanza di André: accettò solo qualcosa da mangiare che l'avrebbe aiutata ad assistere l'amico.
Era quasi l'una. Oscar aveva appena cambiato la pezza sulla fronte sempre calda di André: la preoccupazione non l'abbandonava… Poco a poco avvertì il bisogno di poggiare la testa sul letto di André, tenendogli sempre la mano e il sonno la vinse.
Per la prima volta, dopo molti anni, una notte insieme. Una notte trascorsa uno accanto all'altra, mano nella mano, entrambi, al fine, con il cuore pieno di reciproco amore. Fu una notte lunga e per certi versi magica. I sogni dei due visitati dalle immagini riflesse e se per André Oscar era un ospite ricorrente se non costante delle sue escursioni oniriche, per Oscar l'André dei sogni era qualcuno cui aggrapparsi con tutte le sue forze, qualcuno da non lasciare più andare, la parte di vita tanto attesa.

Era da poco passata l'alba quando André aprì gli occhi: dapprima la stanza gli si presentò buia e silenziosa ma presto le sue orecchie percepirono il respiro ritmato di Oscar… e che dire della mano intrecciata alla sua. Voltò il capo e vide la bionda chioma riversa sul letto accanto a lui. Non gli ci volle molto a capire cosa significasse quella presenza, quell'abbandono e un sorriso sereno gli illuminò il volto: la sua Oscar, non era cambiata, nemmeno Fersen era riuscito a mettersi tra loro. André sollevò la mano destra e con infinita dolcezza iniziò ad accarezzare i capelli di lei morbidi e sparsi sul letto. Guardava avanti a sé André, a volte gettava lo sguardo sulla testa della donna amata che ancora gli dormiva addosso. Ne attendeva il risveglio. Più dolce la sua attesa, più pregna di speranza. Sentiva anche che le forze gli stavano tornando: non aveva più la febbre, le medicine e la vicinanza taumaturgica di lei lo avevano guarito.


I raggi del primo solo ebbero la meglio sulle tende permettendo a un po' di luce di farsi strada nella stanza, e uno di essi, il più fulgido e intenso andò a colpire il volto di Oscar i suoi occhi chiusi; si posò sulle sue palpebre abbassate facendole intravedere, dopo tanto buio, un po' di luce…
Oscar socchiuse gli occhi, consegnando il primo sguardo alla coperta del letto di André, quindi, messa rapidamente a fuoco la situazione, alzò la testa a rivolgere la sua attenzione al volto dell'amico che l'accolse con un sorriso pieno d'amore e due semplici parole "Ciao Oscar". La ragazza, slacciate le dita della mano da quelle dell'uomo, gli carezzò il volto "Dio ti ringrazio, André, sei vivo, stai bene… sei con me".
Il bacio fu lungo, delicato e via via più intenso, dolci le labbra che si schiudevano le une ad accogliere le altre, senza stupore, senza affanno quasi si fossero baciati da sempre eppure quel primo bacio conservò, anche in seguito, un sapore unico, alba di una nuova vita, inizio di qualcosa che non terminò, primo di una lunga serie: le mani affondati nelle rispettive chiome il respiro rubato reciprocamente, le labbra ad allontanarsi per brevi attimi per poi riprendersi, riamarsi. Un bacio cui non servirono parole e che lasciò lo spazio a uno sguardo consapevole, sorridente e sereno.




Fine

Mara (mail to: mara.zanotti@ilnuovotorrazzo.it )