RETTE PARALLELE

Capitolo Terzo

 

 

Una nottata buttata.

Da quando ti ho visto uscire con gli altri mentre ridevate e vi scambiavate cameratesche pacche sulla schiena ho avuto un nervoso addosso ingestibile. Tu ti sei girato verso la mia finestra e io ho tirato la tenda. Ma cosa avrei dovuto fare? Farti ciao ciao con la manina, così se gli altri mi avessero visto ti avrebbero pestato a sangue? E se anche fossi stato da solo? Se fossi stato da solo avrei sceso le scale di corsa e ti avrei raggiunto, per chiederti se ti andava di offrirmi una birra da qualche parte. Noi due da soli. Come ai bei vecchi tempi. Che poi tanto belli non erano, perché io pensavo a Fersen e tu pensavi a me, che non mi accorgevo di te. Un gioco crudele. Ma stasera le cose avrebbero potuto essere diverse; noi due, due boccali di birra fresca, Parigi tutta per noi, il tempo… la possibilità di parlare liberamente…

La prossima volta. La prossima volta che ti vedrò uscire da solo metterò in atto questo piano.

Questo pensiero mi permette di dormire. Per un paio d’ore. Poi i miei occhi si spalancano nel buio della mia stanza vuota. E non sono mai stata meno insonnolita in vita mia.

Devo fare qualcosa, subito. La testa mi dice che non c’è più tempo da perdere, che non ti troverò mai più da solo per un uscita, che sarai sempre scortato dai tuoi nuovi amici e che comunque una dichiarazione fatta da ubriaca in una bettola di Parigi potrebbe non risultarti così attraente.

Devo presentarmi a casa tua. Perché non ci ho pensato prima? In fondo ci sta una visita di cortesia da parte mia, per vedere come ti sei sistemato. Io mi siedo, tu mi offri un tè, chiacchieriamo un po’… e poi devo solo trovare il momento giusto per dirti che ti amo. Dio, come faccio? Già lo so che me ne starò seduta come una scema a bere il tè, a parlare di cose senza senso fino al momento di salutarci. Senza che nulla sia cambiato, nemmeno questa volta. Ma come faccio? Che parole posso usare? E tu mi crederesti?

Il lenzuolo mi si è attorcigliato al corpo come hanno fatto questi pensieri maligni nella mia mente. Non posso più restare ferma.

Mi alzo e mi vesto.

È l’alba.

Busserò a casa tua all’alba, tu mi aprirai con gli occhi assonnati e faremo colazione insieme. Poi, qualcosa succederà. Deve succedere.

Raggiungo la palazzina. I venditori stanno già sistemando i loro banchi al mercato vicino, ma per il resto c’è silenzio nel quartiere.

Entro nel portone ed inizio a salire le scale, per raggiungere la tua mansarda. Sento una porta che si apre e dei passi. Delle voci, di cui però non colgo il significato. Supero l’ultimo pianerottolo e salgo l’ultima rampa di scale. Mi mancano tre gradini. E vi vedo. Sulla porta. Tu praticamente nudo, lei vestita, ma non mi è difficile immaginare che fino a pochi minuti fa si trovasse nelle tue stesse condizioni. Tu le prendi la testa tra le mani e con una voce così dolce che mi fa sanguinare il cuore le dici “Grazie a te, Adele” e le posi un bacio in fronte. Lei ti guarda con amore, ma si gira subito e si avvia verso le scale. Ma lì deve rallentare il passo perché ci sono io che blocco il passaggio.

*

Oscar e Adele sono ferme sulle scale e si fissano per un secondo che dura un’eternità. Poi Oscar si riscuote e si fa da parte.

“Prego, mademoiselle” dice sorridendo. Ma io lo conosco quel sorriso da volpe rabbiosa.

“Grazie monsieur” risponde Adele passandole a fianco con uno sguardo interrogativo. Non può fare a meno di girarsi verso di me e mi trova che fisso Oscar con uno sguardo che le cancella ogni dubbio dagli occhi. Guarda Oscar che fissa i gradini. “Andrè, ricordati il mio consiglio.” E se ne va scendendo le scale di corsa.

Grazie, piccola dolce Adele, ma temo che ormai il danno sia irreparabile. Ma poi quale danno? Oscar si è presentata senza invito a casa mia e mi ha trovato con una donna. Potrei anche spiegarle che questa è proprio la donna con la quale non ho concluso, ma questo dettaglio potrebbe peggiorare la mia situazione. La situazione di un uomo libero!

“Che fai, entri per un caffè?” ti dico, costringendoti a guardarmi, finalmente. Alzi lo sguardo e arrossisci. Ah, giusto; sono nudo. Beh, buon per me. Tu stai zitta e mi fissi con uno sguardo che devo ammettere non ti ho mai visto. Devo capirlo e classificarlo. I secondi passano. Guardi dietro di te. Fai un movimento per scendere che trasformi in un movimento per salire quegli ultimi tre gradini. Ma sembra che questo sforzo ti costi una fatica immane. Mi passi accanto entrando e sibili “Vestiti.”

*

La bruna mi fissa dalla cima delle scale. Io mi scanso per farla passare.

“Prego, mademoiselle.”

“Grazie monsieur.” Mi risponde. Ma poi si gira a guardarti. “Andrè, ricordati il mio consiglio.”

Oh, siete proprio in confidenza voi due, ma bravi!

Devo tenero lo sguardo fisso a terra, come se il legno delle scale nascondesse il segreto della vita, perché le lacrime mi stanno bruciando gli occhi come fossero veleno. Ma non piangerò davanti a te. E tantomeno davanti a lei!

Lei scende di corsa.

E ora?

“Che fai, entri per un caffè?”

Mi stai invitando a fare colazione con te, come avevo sperato. Ma è tutto sbagliato, devo andare via. Non posso entrare e far finta di nulla. Ora tu hai la tua vita, la tua vita completa, senza di me. Ed io so che mi ritroverei a farti una scenata, senza averne il diritto. Già, che diritto ho io di sentirmi tradita da te? Non sei il mio uomo. Tu mi avevi offerto il tuo cuore ed io l’ho rifiutato. Ora l’hai offerto ad un’altra donna che l’ha accettato perché è stata meno stupida di me. Buon per lei.

Devo andarmene. Ma poi, con mia sorpresa, le mie gambe mi spingono a salire verso di te.

Entrando ti passo accanto. Sei praticamente nudo. È troppo per me. “Vestiti” ti imploro, ma mi esce il mio solito tono da comandante inacidito.

*

Entri e ti guardi intorno stranita.

“Accomodati. Io mi vesto e metto su la colazione.” Entro in camera e tu guardi dentro. Sgrani gli occhi e la faccia ti diventa di fiamma.

Mi sento in colpa, ma devo scacciare questa sensazione.

*

Entro e vedo casa tua, la tua nuova vita. È semplice e accogliente. Come te.

“Accomodati. Io mi vesto e metto su la colazione.” Mi dici entrando in camera. E allora vedo. Vedo il letto sfatto e la tua uniforme buttata alla rinfusa. Un’immagine eloquente anche per una vergine come me. Sento il calore salire al viso e le lacrime salire agli occhi. No, non ce la faccio, voglio andare via…

*

Esco dalla mia stanza, finalmente vestito e ti trovo con la mano sulla maniglia. Non ci penso e mi slancio verso di te. La mia mano si poggia di sua propria volontà sulla tua, per impedirti di abbassare la maniglia ed uscire, uscire dalla mia casa, uscire dalla mia vita…

“Aspetta, Oscar!”

Ti giri come una furia. “Lasciami!”

Me lo urli in faccia, ma poi abbassi subito il viso, sembra che tu voglia farti sparire la testa nelle spalle, mentre con la mano dietro la schiena continui ad armeggiare con la maniglia.

L’istinto mi suggerisce di fare un passo indietro e lasciarti andare. Ma oggi lotto contro tutto e tutti. Tengo salda la mano sulla tua e poggio l’altra sulla porta, di peso, per impedirti di aprirla. Cara Oscar, sarai più brava di me con la spada e con la pistola, ma io sono un uomo e sono decisamente più forte di te.

“Perché mi urli contro? Che ti ho fatto?”

“Ti ho detto di lasciarmi andare!” urli, ma sempre verso il tuo petto, con gli occhi bassi.

“Certo che ti lascio andare, Oscar. Ma prima devi dirmi perché ti presenti qui all’alba e poi urli per andare via.”

“Perché sì! Perché mi va così, va bene?”

“No! Non va bene! Non ruota tutto attorno a te, signorina! Ti ho fatto una domanda e ora voglio una risposta!”

Urliamo entrambi e continuiamo a lottare per il possesso della maniglia.

“Voglio andarmene perché non mi va di stare in una casa frequentata da puttane!”

“Ooh, che linguaggio la nostra mademoiselle! Però non ti faceva schifo frequentare Versailles, che si presenta certo meglio, ma che vanta la più alta concentrazione di puttane d’Europa!” Questa è pesante, ma sembra che oggi io abbia smesso di fare l’attore, seguendo il consiglio di Adele.

Alzi lo sguardo e tenti di bruciarmi con la tua espressione furiosa. Ma sono lacrime trattenute quelle che vedo nel fondo dei tuoi occhi, mia Oscar?

“Sì, Adele è una puttana. Ma questa è casa mia, e ci faccio entrare chi mi pare. Sarò libero, no?” questa te la dico dritta in faccia.

E a questo punto succede quello che non mi aspettavo. Ero in attesa di un urlo lacerante e di uno schiaffo bruciante. Ciò che non mi aspettavo era il tuo pianto disperato. Posso giurare di non averti mai visto piangere in questo modo, neanche da bambina. I singhiozzi ti squassano, mentre un fiume di lacrime erompe dai tuoi occhi screziati di pervinca e turchese.

“Sì, sei libero, Andrè. Sei libero di amare e di portarti a letto chiunque tu voglia. Ed io non ho proprio nessun diritto di dirti… nessun diritto… Io, io ti auguro solo di essere felice, perché tu… tu lo meriti, e io…”

Faccio fatica a cogliere le parole che pronunci tra le lacrime ed i singhiozzi che erompono dal tuo petto e sembra debbano spezzare il tuo corpo fragile.

Ti lascio la mano e la poggio sulla porta. Le mie mani sono poggiate ai due lati del tuo viso e io ti sono di fronte. Tu sei addossata di peso alla porta e hai riabbassato lo sguardo, ma non hai smesso di piangere.

Devo mettere in pratica l’altro buon consiglio di Adele.

“Oscar, tu mi ami?”

Un brivido ti scuote dalla testa ai piedi. Lo vedo chiaramente. Parla, Oscar, ti prego…

“Sì, io ti amo, Andrè.”

È poco più di un sussurro, ma io l’ho sentito. Ma il punto non è questo. Sei tu che devi pronunciare queste parole con assoluta convinzione.

Ti prendo il mento con la mano destra e ti costringo ad alzare il viso. Ma tu tieni ostinatamente gli occhi bassi.

“Guardami, Oscar. Guardami e dimmelo in faccia.” Il mio è un ordine, il primo e l’ultimo che mai ti darò.

Le tue palpebre si alzano sul tuo sguardo azzurro e bagnato di lacrime.

“Sì. Sì, io ti amo, Andrè.” Ed ora ti sento, ti sento davvero.

*

Ho esitato un secondo di più e tu sei uscito dalla tua stanza nel momento in cui io stavo abbassando la maniglia. Sei veloce e mi raggiungi in un attimo, posando la tua grande mano sulla mia, per impedirmi di uscire, di scappare. Inizia una lotta che sospettavo sarebbe finita a mio svantaggio, perché non sono stupida e so che tu sei più forte di me, ma non immaginavo quanto. Perché tu non hai mai usato la tua forza di uomo contro di me. A parte quella volta. Ed ora sembri furioso quasi come allora. Ma nemmeno stavolta ho paura.

“Aspetta, Oscar!” me lo domandi, me lo implori, me lo ordini…

Ed io, ragazzina viziata, soprattutto da te, ti urlo contro di rimando: “Lasciami!” Te lo dico in faccia, ma mi rendo conto di non poterti guardare, di non poterti permettere di guardarmi, perché sono sull’orlo delle lacrime, della follia… Così abbasso subito la testa, come una bambina.

“Perché mi urli contro? Che ti ho fatto?” E’ una domanda più che legittima, la tua, ma la mia risposta è di nuovo quella di una bambina che pesta i piedi. “Ti ho detto di lasciarmi andare!” urlo, ma sempre con gli occhi bassi. Non guardarmi.

“Certo che ti lascio andare, Oscar. Ma prima devi dirmi perché ti presenti qui all’alba e poi urli per andare via.” Di nuovo una domanda legittima da parte tua, di nuovo una risposta infantile da parte mia. “Perché sì! Perché mi va così, va bene?”

“No! Non va bene! Non ruota tutto attorno a te, signorina! Ti ho fatto una domanda e ora voglio una risposta!” Lo so Andrè, credimi. Ruota tutto attorno a te. Se solo riuscissi a fartelo capire…

Urliamo entrambi e continuiamo a lottare per il possesso della maniglia. E alla fine mi esce detto quello che in parte penso davvero. “Voglio andarmene perché non mi va di stare in una casa frequentata da puttane!” No, non ho niente contro le puttane. Ma quelle che frequentano questa tua casa a me estranea le ucciderei. E quella Adele, così carina, che ti parlava con tanta familiarità…

“Ooh, che linguaggio la nostra mademoiselle! Però non ti faceva schifo frequentare Versailles, che si presenta certo meglio, ma che vanta la più alta concentrazione di puttane d’Europa!” Questa è pesante, Andrè. Non somiglia al tuo normale modo di esprimerti. Chi sei tu?

Alzo lo sguardo e tento di bruciarti con la mia espressione ferita. Ma le lacrime che trattengo non so più per mezzo di quale sortilegio mi bruciano gli occhi.

“Sì, Adele è una puttana. Ma questa è casa mia, e ci faccio entrare chi mi pare. Sarò libero, no?” questa me la dici dritta in faccia.

E a questo punto succede quello che temevo. Scoppio in un pianto disperato. Posso giurare di non aver mai pianto in questo modo neanche da bambina. I singhiozzi mi squassano, mentre un fiume di lacrime erompe dai miei occhi.

“Sì, sei libero, Andrè. Sei libero di amare e di portarti a letto chiunque tu voglia. Ed io non ho proprio nessun diritto di dirti… nessun diritto… Io, io ti auguro solo di essere felice, perché tu… tu lo meriti, e io…” Frasi sconnesse, frasi che penso sinceramente, che nella mia testa avevano forma e senso e che invece escono dalla mia bocca spezzate come il mio cuore.

Vedo che fai fatica a cogliere le parole che pronuncio tra le lacrime ed i singhiozzi che sento mi spezzeranno in due. E allora non ci sarà davvero nessuno a raccogliere ciò che resta di me…

Mi lasci la mano e la poggi sulla porta. Le tue mani sono poggiate ai due lati del mio viso e mi sei di fronte. Io sto addossata di peso alla porta, perché sento di aver perso ogni forza, ogni volontà. Ho riabbassato lo sguardo, ma non ho smesso di piangere. Non posso. Non voglio. Non m’importa.

 “Oscar, tu mi ami?”

Un brivido mi scuote dalla testa ai piedi. Lo sento chiaramente. Parla, Oscar, ti prego…

“Sì, io ti amo, Andrè.” Ce l’ho fatta. Ma ormai…

È poco più di un sussurro, il mio. Ma so che l’hai sentito.

Mi prendi il mento con la mano destra e mi costringi ad alzare il viso. Io tengo ostinatamente gli occhi bassi. Non posso guardarti. Non ora che avrei potuto averti e invece ti perdo.

“Guardami, Oscar. Guardami e dimmelo in faccia.” Il tuo è un ordine.

Ed io ti obbedisco. Le mie palpebre si alzano sul tuo viso serio, a pochi centimetri dal mio.

“Sì. Sì, io ti amo, Andrè.” Ed ora sia di me ciò che vuoi.

*

“Ora tu vai da lei e le domandi chiaro e tondo <Tu mi ami?> Se ti risponde no ti metti l’anima in pace, se ti risponde sì te la porti subito a letto.”

L’ultimo consiglio di Adele mi rimbomba nella testa mentre guardo il tuo viso splendente. Piangi. Mi guardi. Mi hai detto che mi ami. E ora aspetti. Cosa aspetti, Oscar? Lo sai che ti amo da sempre. Lo sai?

Siamo vicini e percepisco l’elettricità che scorre tra di noi.

Ti bacio. Ti abbraccio. E tu rispondi al mio bacio ed al mio abbraccio. C’è una forza che mi domina e che sento anche in te. Ti spingo contro la porta.

Non so come, ti tiro su, contro di me, e ti porto in camera.

Come quella notte, ti crollo addosso sul letto, ma, a differenza di quella notte, tu non urli, non mi chiedi di fermarmi. E io non mi fermo.

Rispondi ad ogni mio gesto, e quello che succede tra di noi ha qualcosa di rabbioso. Non era così che immaginavo la nostra prima volta, Oscar. Ma va bene; siamo insieme, finalmente.

*

L’ho detto. Ti ho detto che ti amo. Questo mi rende felice. Ma non mi fa sentire più leggera, mentre ti fisso e aspetto che tu mi risponda. Mi ami ancora, Andrè?

Poi mi baci, con forza, e con forza mi abbracci. Ed io non posso non risponderti. Ora mi sento sollevare da terra e trasportare. Dove? Ma certo, in camera tua. Come quella notte, mi butti sul letto, ma stavolta non mi hai colto di sorpresa, così non urlo. Non ti chiedo di andare via, perché non voglio che tu vada via. E poi tutto accade in modo assolutamente inevitabile, ma c’è una rabbia tale nei nostri gesti, nei tuoi e nei miei, che non mi permette di ragionare. Solo di agire.

Non era così che immaginavo la nostra prima volta, Andrè, ma va bene; l’ho voluto anche io. Solo, non immaginavo che sarebbe stata anche l’ultima…

 

Fine Terza Parte

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)