UNA RELAZIONE PERICOLOSA

 

 

Io ti guardo sempre.

Ma tu non te accorgi mai.

*

Sei sempre al mio fianco. Posso osservarti, posso respirare il tuo profumo, posso parlarti ed ascoltare la tua voce.

Ma non posso averti.

Perché la società in cui viviamo non lo consente.

Ma soprattutto perché tu non mi vuoi.

Perché tu non mi vuoi?

Siamo cresciuti insieme, viviamo insieme, lavoriamo insieme. Ma chi sono io per te?

Ti guardo. I tuoi capelli, che ti incorniciano il viso e mettono in risalto i tuoi splendidi occhi, limpidi e profondi e nei quali vorrei potermi specchiare. Ma tu non mi vedi.

Chi sono io per te?

Sono solo la ragazzina nobile con la quale sei cresciuto? Sono solo il tuo capo?

Ma tu per me non sei solo il mio attendente.

Io ti amo, André.

*

Ti vedo, ma tu non te ne accorgi.

Sei troppo preso da lei.

Certo, è molto bella, ed ha una reputazione impeccabile. Ma qualcosa in lei non mi convince. Forse sono solo gelosa, perché è evidente che tu la ami.

Ma la Marchesa De Merteuil è una vedova virtuosa.

Per mia fortuna. Altrimenti a quest’ora tu saresti perduto. Altrimenti a quest’ora io sarei perduta. Ma se non sarà l’irreprensibile Marchesa De Merteuil, sarà un’altra donna a portarti via da me. Perché ai tuoi occhi io non sono una donna.

*

“Buon pomeriggio Colonnello De Jarjayes. E buon pomeriggio anche a voi, Monsieur Grandier.” La grazia con cui la Marchesa De Merteuil non manca mai di salutarci è innegabile. Ma solo io sento la malizia nel calcare le parole “colonnello” e “monsieur”? Solo io vedo la cupidigia nei suoi occhi quando saluta André e lo scherno quando saluta me? Solo io noto l’impercettibile sorriso del Visconte De Valmont, che la segue sempre come un’ombra? Sembra proprio di sì. Tutti a Corte la venerano come una santa, nonostante le sue frequentazioni equivoche. E tu, tu André, la fissi come fosse un’apparizione. Ed io non so cosa fare per proteggerti. O per proteggere me stessa.

*

La piccola Cécile De Volanges è rovinata.

La Presidentessa De Tourvel, una delle pochissime donne che rispettavo sinceramente qui a Corte, è morta di dolore.

Il Visconte de Valmont è morto in duello, ma si è rivelato un uomo migliore di quanto sospettassi. In punto di morte ha infatti consegnato al suo sfidante, il giovane Cavalier Danceny, l’intero scambio epistolare avvenuto nel corso degli anni tra lui e la Marchesa de Merteuil. Avevo dei sospetti su quella donna così controllata, ma non avrei mai potuto immaginare un tale orrore.

Ormai tutta Parigi sa.

Siamo a teatro e tu, come sempre, sei al mio fianco. Ma nessuno guarda gli attori in scena. Tutti gli occhi sono puntati sul palco della Marchesa de Merteuil. Tutte le bocche ripetono l’irripetibile, emerso dal suo carteggio, ormai di dominio pubblico. La Marchesa prova a restare salda al suo posto, ma a metà del primo tempo è costretta a fuggire. Tu fai un movimento, come per uscire dal nostro palco. Vorresti seguirla, André? Vorresti consolarla? Oppure insultarla? Ma resti al tuo posto, al mio fianco, ma con la mente lontana da me.

*

“Ti seguo a cavallo, Oscar.”

“André… fa freddo. Entra in carrozza.”

“No, io… preferisco prendere un po’ d’aria.”

Lo dici con lo sguardo fisso a terra, senza guardarmi. E allora non posso dire o fare nulla. Salgo in carrozza. Da sola.

Per un po’ ti vedo cavalcare al fianco della carrozza, poi mi perdo nei miei pensieri e quando torno a guardare fuori non ti vedo più.

Arrivata a casa scendo dalla carrozza e salgo a cavallo. Non perdo tempo a rispondere al valletto che mi fa notare che è buio e che piove a dirotto.

So dove trovarti.

E infatti sei lì.

A cavallo, solo, sotto la pioggia battente.

E fissi le finestre della sua magione.

Dentro c’è fermento. Credo che la Marchesa si appresti a lasciare Parigi.

È un bene o un male per te?

Mi avvicino e ti porgo il tuo mantello. Tu mi guardi e mi sorridi.

Così mi uccidi.

*

Credo di aver raggiunto il limite.

Vivo e lavoro a corte da più di 15 anni e penso di aver raggiunto il livello di saturazione.

Non posso più sopportare gli intrighi, la falsità che tutti nascondono dietro gli splendidi vestiti ed il linguaggio forbito.

Devo cambiare aria.

Farà bene anche a te, André.

*

Busso alla tua porta.

Tu mi inviti ad entrare e mi sorridi, con il tuo sorriso dolce e triste.

Io prendo fiato e coraggio.

“André, ho lasciato la Guardia Reale. Diventerò il Comandante della Guardia Metropolitana, di stanza a Parigi.”

Mi guardi senza parlare. Sembri incredulo.

“Vedi André, avevo bisogno di un cambiamento. Non sopporto più la vita di Corte. Vivere a Parigi sarà un cambiamento in positivo per noi.”

“Ma io… non voglio. Non mi hai chiesto nulla.”

Il tuo tono risentito mi colpisce e mi ferisce.

“André, hai ragione, forse avrei dovuto parlartene, ma vedrai che sarà meglio per noi cambiare…”

“Io voglio restare a Corte!”

Nell’urlare ciò hai finalmente alzato la testa e ora mi fissi negli occhi con astio.

E la rabbia sale e mi inonda il cuore e la bocca.

“La tua Marchesa è fuggita e dubito che tornerà a Versailles!”

Incassi il colpo e mi guardi prima incredulo, poi rabbioso.

“Tu non sai niente, Oscar!”

“Io invece so tutto! So che le morivi dietro da anni, so dei suoi sorrisini ammiccanti nei tuoi confronti, e so anche che forse sei stato l’unico uomo a Parigi a non essere passato per il suo letto!” Nel buttare fuori tutto questo mi sono alzata rovesciando la poltrona. Tu mi imiti, ti avvicini e mi schiaffeggi.

Nella stanza silenziosa posso sentire la eco dello schiaffo, così come posso sentirne il bruciore sul viso.

Ti guardo allibita e tu mi fissi con uno sguardo colpevole e ferito, ma con la mano ancora sollevata.

“E adesso… che cosa vorresti fare, André..?”

“Oscar… perdonami. Giuro su dio che non ti farò mai più una cosa come questa.”

E mi volti le spalle.

Vedo il tuo corpo tremare, una sagoma buia stagliata nella luce della porta.

Stai trattenendo le lacrime.

Ma per me o per lei?

“André… André, come è possibile che un uomo come te non si sia accorto di nulla? Come hai potuto sprecare i tuoi sentimenti per una…”

“Ti prego Oscar! Smettila!” Continui a darmi le spalle, ma ora stringi i pugni con forza.

Ma ormai non posso smettere. “Come hai potuto non accorgerti in tutti questi anni che vicino a te c’era una donna che ti amava?” Il dolore a lungo represso erompe dalle mie parole, urlate tra le lacrime che mi serrano la gola.

Vedo la tua figura irrigidirsi ed immobilizzarsi. Ti vedo girare lentamente la testa verso di me. Ti vedo fissarmi con gli occhi sgranati.

È troppo.

Fuggo dalla tua camera.

*

Ho passato le due settimane di congedo in attesa del nuovo incarico nella villa in Normandia. Ho passeggiato. Ho osservato il mare. Ho riflettuto. Ma non ho concluso nulla. L’unica certezza che ho è che dovrò cercarmi un nuovo attendente. È evidente che tu non mi seguirai. Non mi hai seguito qui in Normandia. Non mi hai nemmeno scritto. In fondo, perché avresti dovuto? Per dirmi cosa? Il tuo sguardo sgomento valeva mille discorsi.

*

Tu sei in Normandia.

Non siamo mai stati separati così a lungo.

Ma credo sia proprio quello che ci serve. Stabilire nuovi confini.

Questo sono io, questa sei tu.

Per 23 anni non è esistito nessun confine tra la mia e la tua vita, la mia e la tua anima.

O almeno, così credevo io.

Quando abbiamo iniziato ad allontanarci?

Quando io ho iniziato a provare… qualcosa, per la Marchesa di Merteuil? È stato allora che ho smesso di essere il tuo migliore amico, tuo fratello? O è stato quando tu hai smesso di vedermi come tale ed hai iniziato a vedermi come un uomo? E quando è successo questo, Oscar? È stato quando abbiamo fatto a pugni in riva al lago, nel momento in cui la luce dell’alba riflessa dall’acqua ti ha dorato i capelli e fatto scintillare quegli occhi enormi che avevi? Da qualche anno i tuoi occhi mi sembrano più piccoli; è perché ti sei chiusa in te stessa e di conseguenza il tuo sguardo affilato ti protegge? Anche i miei occhi sono rimpiccioliti, si sono fatti più duri con gli anni, come i tuoi? Penso di sì. Altrimenti mi sarei accorto di te. Altrimenti avrei dato un significato a certi tuoi gesti, ai tuoi sempre più numerosi silenzi.

Capisco di averti ferito.

E penso che se ti raggiungessi in Normandia potrebbe essere imbarazzante per te.

Sono convinto che stare qualche giorno lontani farà bene ad entrambi.

E quando tornerai io sarò qui.

*

Mi sono svegliata nella mia stanza.

Ho indossato la mia nuova uniforme.

È blu.

Mi dona più delle altre.

Anche se so che è assurdo dirlo riferito a delle uniformi.

Non ho cercato un altro attendente.

Voglio provare a cavarmela da sola.

E comunque non riesco nemmeno ad immaginarlo un altro al posto tuo.

Scendo la scalinata esterna e ti vedo.

Sei sul tuo cavallo e tieni le redini del mio.

Senza un parola monto a cavallo.

Tu mi passi le redini.

E ci avviamo verso la caserma della Guardia Nazionale, a Parigi.

*

Sapevo che sarebbe stata dura.

Questi non sono i soldatini della Guardia Reale; questi sono uomini veri, del popolo, e non accettano di prendere ordini da una donna, un’aristocratica per giunta.

E non gli sono particolarmente simpatico neanche io.

Ammetto che in un paio di occasioni ho pensato di mollare. Troppi insulti, troppi lividi. Ma non potrei mai lasciarti qui da sola. E allora stringo i denti e resisto.

Vorrei dirti questa ed altre mille cose mentre cavalchiamo fianco a fianco, ma non trovo mai il momento, il modo… E così restiamo in silenzio.

Quello che ci univa prima è finito ed ora dovremmo riuscire a costruire un nuovo rapporto. Ma ormai non so più cosa era di preciso ciò che ci ha unito per tanti anni. Cioè, tu lo sai. Io non ne sono più così sicuro.

E la confusione rende ancora più assordante il silenzio tra di noi.

*

Non so cosa mi aspettassi di preciso.

Ma è dura.

I soldati, gente del popolo, non mi accettano.

Non eseguono gli ordini, non ascoltano e commettono veri e propri atti di insubordinazione.

Dovrei punirli. Ma non può essere questa la soluzione.

Anche tu non te la passi bene. I soldati hanno preso di mira “il galoppino della nobilastra”.  So che sei stato coinvolto in alcune risse. Ho visto i lividi sul tuo volto. Ma tu non mi dici nulla ed io non ho il diritto di domandarti nulla. Mi hai seguito in questa avventura, nonostante tutto, e quindi devo solo tacere ed esserti grata. In silenzio.

In silenzio cavalchiamo fianco a fianco, per andare e tornare dalla caserma.

In silenzio lavoriamo.

Certo, parliamo. Ma solo bervi frasi inerenti al lavoro.

Niente più chiacchiere, niente più risate.

È vero, da anni non era comunque più così, ma quando tu non conoscevi i miei sentimenti almeno potevamo far finta di essere ancora gli amici che erano cresciuti insieme.

Ora che ci resta?

*

Ti ho vista andare in pezzi.

E subito dopo ti ho vista assumere una nuova forma, più resistente, più luminosa. La tua vera forma.

I soldati ti hanno umiliato per l’ennesima volta. Tu non li hai mai puniti. Credevo di aver capito il perché. E avevo ragione. Hai urlato e hai pianto; tra le lacrime che rigavano il tuo viso arrossato hai espresso i tuoi sentimenti più profondi. Hai parlato della dignità del singolo, della libertà del cuore che ogni uomo possiede, anche se non lo sa, anche se gli dicono che non ne ha il diritto. Li hai spronati a ragionare con la loro testa, a seguire il loro cuore. Ed il loro cuore li ha portati a te. Li hai conquistati, Oscar. Ti amano. E come potrebbero non amarti?

*

Tutti noi abbiamo un punto di rottura.

Il mio è arrivato l’altro giorno.

L’ennesimo ammutinamento, l’ennesimo insulto, l’ennesima incomprensione.

Ma come è possibile che nessuno mi capisca?

E allora ho urlato. Ho urlato con quanto fiato, con quanta rabbia avevo in corpo tutto ciò che penso. I miei pensieri più profondi sulla libertà dello spirito umano, che non può essere imprigionato da niente e da nessuno. E finalmente voi mi avete capito. E tu mi hai guardata. Mi hai guardata veramente, dopo tanto tempo. E mi hai sorriso.

*

L’atmosfera in caserma è completamente cambiata.

Tu sei il Comandante che loro hanno scelto di seguire.

Io non sono più la spia, il galoppino, e così ora possiamo lavorare in un clima davvero cameratesco.

Ed è cambiato anche il nostro rapporto. Ora, cavalcando vicini per andare e tornare dalla caserma, riusciamo a parlare come una volta. Da amici. Da fratelli. Come due che sono cresciuti insieme, ma che solo adesso imparano a conoscersi davvero. Ed è bellissimo fare la tua conoscenza, Oscar.

*

Ora tutto è diverso.

I soldati mi rispettano, sinceramente. Persino Alain.

E tu mi parli.

Durante il viaggio di andata e ritorno abbiamo preso a dialogare. Cose di lavoro. Ma anche chiacchiere leggere e battute divertenti che mi riferisci, perché ora anche tu sei stato accettato dai ragazzi.

Stiamo tornando amici, come una volta. Non pretendo nulla di più, André, davvero. Se mi resterai accanto così, io imparerò a celare il mio amore per te. Lo faccio da una vita. Sono brava in questo.

Una sera torniamo a casa e vediamo le luci del salotto accese e la nonna che ci attende sulla porta con un’espressione indecifrabile.

*

Mia nonna è impazzita. Il Generale è impazzito.

Darti in moglie adesso, alla tua età, dopo una vita passata come un militare di carriera.

Ma lo sanno che, uomo o donna, sei un essere umano, con dei sentimenti, delle idee, una tua propria volontà?

Non lo sanno o semplicemente non gliene importa nulla?

È mostruoso.

Alla notizia della visita di Girodel, di fronte al sorriso della nonna, sento qualcosa spezzarsi. Non posso guardarti in faccia e corro in camera mia.

*

Mio padre vuole che sposi il Conte De Girodel, un uomo al quale ho dato degli ordini fino a pochi mesi fa. Mi viene da ridere. E mi viene da piangere. E allora rido tra le lacrime, abbracciandomi, sola nella mia stanza. Tu ti sei chiuso in camera tua non appena la nonna, entrando, ci ha rivelato il nome dell’ospite ed il motivo della sua visita. Non ho fatto in tempo a guardarti. Non ho fatto in tempo a dirti nulla. Ma poi cosa potrei dirti? Tu, tu solo avresti il potere di dire qualcosa, a questo punto. Ma non lo farai. Se sposassi Girodel mi seguiresti come maggiordomo di casa, senza battere ciglio? Temo di sì. Resterei sempre la tua padrona, solo in un’altra veste.

Non vedo vie di uscita.

*

I giorni passano come in un’allucinazione.

Di giorno lavoriamo in caserma.

La sera sono costretto a servire la cena a te, a tuo padre ed al conte Girodel, ospite d’onore in quanto tuo promesso sposo.

Ti ho sentito prima discutere e poi litigare con tuo padre. Gli hai detto chiaramente che non vuoi sposarti, che ami il tuo lavoro, che si potrebbe adottare come erede uno degli innumerevoli figli maschi delle tue sorelle. Ma lui non capisce, nemmeno ti ascolta. La tua vita gli appartiene e tu non hai voce in capitolo. Anzi, alle sue orecchie tu non possiedi proprio una voce.

Sono così addolorato per te, Oscar. E per me.

Il nobile Girodel mi ha magnanimamente offerto il posto di maggiordomo in casa vostra. Non ho trovato risposta migliore che lanciargli addosso la cioccolata calda che ti stavo portando.

Ma, cioccolata a parte, tu dovrai sposare Girodel.

Ed io avrò esaurito il mio ruolo di attendente, amico e fratello maggiore e… e niente. Inutile pensarci, ormai.

Non vedo vie d’uscita.

*

Busso alla tua porta, come quella sera. Quella sera di pochi mesi fa, ma che sembra far parte di un’altra vita.

Mi fai entrare.

“André, la vuoi una tazza di cioccolata calda? La nonna l’ha appena preparata e ho pensato di berla con te.”

Mi fissi in un modo strano, come se mi vedessi dentro. Io rabbrividisco, ma esternamente mantengo la calma. Ed un sorriso forzato.

Dopo alcuni secondi lunghi come secoli mi dici: “Certo. Accomodati.”

*

Sento bussare alla mia porta.

Per qualche secondo resto in silenzio. Deve essere la nonna. In questi ultimi giorni mi controlla ossessivamente, mi domanda continuamente se sto bene, se voglio qualcosa. No, non sto bene e sì, voglio qualcosa. Ma ormai è tardi ed è quindi inutile parlarne.

Poi sento la tua voce, dietro la mia porta chiusa. Pronunci solo il mio nome, come una domanda, come una preghiera, con un filo di voce. Un filo così sottile, Oscar.

Dico “Avanti” e tu ti affacci portando un vassoio. Ora arriviamo al paradosso, Oscar; la nobile che porta la cioccolata al servo. Chi mai capirebbe? Chi, al di fuori di noi due, potrebbe capire il significato profondo di tutto ciò? Nessuno, nessuno capirebbe e tutti ci condannerebbero. È una china pericolosa, Oscar, e quando si inizia a scivolare non ci si può più fermare. Sei sicura?

Ti fisso in silenzio e tu mi dici: “André, la vuoi una tazza di cioccolata calda? La nonna l’ha appena preparata e ho pensato di berla con te.” Dici tutto d’un fiato, con gli occhi bassi, ma alla fine alzi lo sguardo e lo punti dentro il mio. Capisco, capisco tutto e rabbrividisco dentro di me. Ma fuori mantengo la calma ed in un attimo prendo una decisione.

“Certo, accomodati.”

*

Ci sediamo al tavolino vicino al caminetto acceso. Ognuno di fronte alla propria tazza di cioccolata, che fissiamo senza vederla veramente.

“Cosa pensi di fare?”

La tua domanda, appena sussurrata, mi fa sobbalzare. Hai capito tutto? “In che senso, André?” domando con una voce che non so di chi sia, ma non è la mia.

Alzi lo sguardo e mi fissi dritta negli occhi. “Per quanto riguarda il matrimonio.”

Allora non hai capito. Bene. “Beh, per quanto mi riguarda non ci sarà nessun matrimonio.” affermo convinta. No, non sposerò Girodel. Né nessun altro.

“Ma tuo padre ha accettato la proposta.” Lo dici con un tono definitivo, sempre fissandomi negli occhi.

“Io non mi sposo.” Lo dico con un tono altrettanto definitivo. È così. Ho deciso. Ma a differenza tua non riesco a sostenere il tuo sguardo e torno a fissare la tazza di cioccolata.

“Capisco.” E abbassi a tua volta lo sguardo sulla tazza.

*

Ci sediamo al tavolino vicino al caminetto acceso. Ognuno di fronte alla propria tazza di cioccolata, che fissiamo senza vederla veramente.

“Cosa pensi di fare?” ti domando a voce bassa, ma ti faccio comunque sobbalzare. Mi fissi con uno sguardo così smarrito, così addolorato e così colpevole che non può non confermare il mio primo sospetto. “In che senso, André?”

Ma non sarò io a scoprire le carte, così ti domando “Per quanto riguarda il matrimonio.”

Vedo una leggera espressione di sollievo dipingersi sul tuo volto prima di sentirti dire: “Beh, per quanto mi riguarda non ci sarà nessun matrimonio.” in tono convinto, categorico. Definitivo.

Ed in tono altrettanto secco e definitivo io ti faccio notare che “Tuo padre ha accettato la proposta.” Dove pensi di scappare, Oscar? Come pensi di fuggire da questa realtà?

Ti fisso negli occhi e tu mi restituisci lo sguardo. “Io non mi sposo.” E la tua non è una semplice affermazione, ma una vera dichiarazione di guerra. Dichiari guerra a tuo padre, il tuo nemico, ed hai un solo modo per privarlo del potere che ha su di te, sulla tua vita. Ora ne ho la conferma e distolgo lo sguardo da te per fissarlo sulla tazza di cioccolata.

“Capisco.” dico per chiudere la discussione.

Tu mi imiti e abbassi lo sguardo sulla tua tazza di cioccolata.

*

Passano alcuni secondi di silenzio.

Poi tu sollevi la tua tazza e la porti alle labbra con un gesto sereno ma fermo.

No!

Scatto in piedi, rovescio la sedia, mi slancio contro di te.

La tazza si infrange a terra. La cioccolata pieno di veleno si spande sul pavimento lucido. Tu sei sdraiato di schiena ed io ti peso addosso.

Ci fissiamo. Tu mantieni uno sguardo impassibile. Io crollo.

Le mie lacrime cadono come pioggia sul tuo viso.

E tu continui a guardarmi senza battere ciglio.

Tra i singhiozzi riesco a domandartelo. “Lo sapevi?”

“Sì” mi rispondi calmo.

“Ma allora perché..?” sto soffocando, non riesco a parlare, non riesco a respirare.

“Perché stavo comunque per berla?”

Posso solo annuire.

“Perché tu avevi deciso così. E per me va bene. Se vuoi che ti segua lo farò. Come sempre.”

*

Passiamo alcuni secondi in un silenzio denso di cose non dette.

È inutile perdere tempo in spiegazioni. A noi non servono. Tu hai deciso. E anch’io ho deciso. Mi porto la cioccolata alle labbra.

Succede tutto in una frazione di secondo.

Ti sento urlare, con la coda dell’occhio ti vedo alzarti e slanciarti verso di me, sento il rumore della tua sedia franare sul pavimento, sento lo schiaffo che mi dai sulla mano e che mi fa volare via la tazza, avverto che lo slancio con cui ti sei scagliata verso di me mi fa perdere l’equilibrio, mi sento cadere di schiena e contemporaneamente sento il rumore della tazza che si infrange al suolo. Ora sono sdraiato di schiena sul pavimento, vicino alla mia testa si spande la macchia di cioccolata calda con il suo odore di mandorle, che rivela il veleno. Tu mi sei franata addosso. Ci fissiamo in silenzio per una manciata di secondi. Poi ti vedo crollare, sbriciolarti davanti ai miei occhi, sul mio petto. Piangi, singhiozzi, tremi. Le vibrazioni del tuo corpo si trasmettono al mio, le tue lacrime piovono sul mio viso. Non sei mai stata così bella. O forse io non ti avevo mai guardata davvero. Perdonami.

Tra i singhiozzi mi domandi: “Lo sapevi?”

Sapevo tutto e non avevo capito nulla, mia Oscar. “Sì.”

Sembri sconvolta, ancora di più. “Ma allora perché..?”

“Perché stavo comunque per berla?” non sono mai stato più calmo e sicuro di qualcosa in vita mia.

Ti vedo annuire tra le lacrime, in attesa di una risposta, una che metta tutto a posto una volta per tutte.

“Perché tu avevi deciso così. E per me va bene. Se vuoi che ti segua lo farò. Come sempre.” Ora sono davvero consapevole di ciò che significa, di ciò che significhi per me.

*

Gli batto un pugno sul petto e urlo: “Come puoi dire una cosa simile?!? Come puoi dirlo senza arrabbiarti, senza scomporti?!? Vuoi dire che avresti obbedito al mio ordine di morire con me come obbedisci all’ordine di sellarmi il cavallo?!? Sei un idiota, André!” Piango, urlo e ti tempesto il petto di pugni.

Allora tu mi afferri i polsi e mi costringi a guardarti negli occhi. “Ti avrei seguita perché l’idea di lasciarti sola mi distrugge.”

*

E per tutta risposta tu inizi a picchiarmi e ad insultarmi. Mi viene da sorridere. Sei così te stessa in questo momento. Mi chiedi se avrei obbedito all’ordine di morire con te come obbedisco all’ordine di sellarti il cavallo. Ora la tua mi sembra una grave incomprensione, ma mi rendo conto che la colpa è mia, colpa della mia cecità durata anni. Ora il velo è caduto e vedo ogni cosa chiaramente. Soprattutto, vedo te.

Ti afferro per i polsi e ti costringo a guardarmi negli occhi. Perché le parole possono aiutare a chiarirsi, ma io voglio che tu veda tutto ciò che non può essere espresso a parole nei miei occhi. “Ti avrei seguita perché l’idea di lasciarti sola mi distrugge.”

*

Posso specchiarmi nei tuoi occhi, come sognavo di fare da quando avevo 13 anni, da quel giorno in cui abbiamo fatto a pugni sulla riva del lago e la luce dell’alba mi ha svelato la profondità del tuo sguardo.

E ora posso guardare con calma, e vedere cose che con le parole non è possibile esprimere.

Ora tu mi guardi, André. Mi vedi davvero. Il velo che ci divideva si è dissolto, la distanza è stata annullata. Lo capisco perché è scritto tutto lì, nei tuoi occhi. E tra le lacrime mi spunta un sorriso, un sorriso vero.

Poi il tuo braccio sinistro mi cinge la vita e la tua mano destra si avventura tra i miei capelli, sulla mia nuca, e mi porta verso la tua bocca.

 

 

Fine

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)