LE PAROLE E IL SILENZIO

Parte Terza

 

Subito dopo che Oscar aveva lasciato la cucina, nella sua camera André era effettivamente stato messo sotto assedio dalla nonna; la donna aveva iniziato a girargli attorno insistendo perché la lasciasse controllare se ci fossero ferite da medicare, ponendogli domande più o meno sensate sull’accaduto, girando e rigirando fra le mani la camicia macchiata del nipote e l’uniforme strappata. Dal canto suo, André era stato abile nell’evitare di andare troppo nei particolari e irremovibile nell’impedire alla nonna di medicarlo; senza dare ulteriori spiegazioni, le aveva detto “sono già a posto, te lo assicuro. Non ce n’è bisogno!” e l’aveva distratta toccando un argomento che alla nonna stava sempre a cuore “piuttosto, nonna, portami qualcosa da mangiare …” accompagnando queste parole con un sorriso dei suoi, che non le aveva lasciato possibilità di replica. Come sempre, la colazione portata dalla nonna era sovrabbondante persino per l’appetito di uomo come André, che alla vista di tante prelibatezze, era rimasto a bocca aperta. E che comunque, dopo aver passato in rassegna varie possibilità, aveva finito per scegliere la solita mela rossa. Vedendolo mangiare, finalmente la nonna lo aveva lasciato solo, andando ad occuparsi dei suoi indumenti, borbottando lamentele di ogni genere.

André aveva quindi potuto abbandonarsi ai suoi pensieri e i ricordi della sera e della notte precedente si erano sovrapposti fluidamente a quelli della sua infanzia a palazzo Jarjayes.

Oscar era rimasta tutta la notte nella sua stanza. Ma non bastava: era rimasta  sul suo letto, insieme a lui. E aveva persino dormito addosso a lui. Da quanto tempo non accadeva? Questo non riusciva a determinarlo con certezza; eppure sapeva che anni addietro, capitava spesso che loro passassero la notte insieme.

 

Poco tempo dopo l’arrivo di André a palazzo Jarjayes, sul far della sera di una giornata torrida, il cielo prima terso si era ingombrato di nuvole scure che incombevano minacciose sopra le regione. Oscar non amava quelle nuvole scure: con quelle non era possibile giocare a scrutare nel cielo le forme più fantasiose, come avevano preso a fare insieme, stesi sull’erba della tenuta. Tante nubi nere, nella notte portarono ad un temporale violento, di quelli che con una sferzata fredda facevano dimenticare il caldo opprimente dell’estate Parigina. André, messo a letto dopo cena dalla nonna immediatamente dopo Oscar, si rigirava sotto il lenzuolo cercando, senza successo, di addormentarsi, disturbato dal temporale che imperversava fuori e dentro di sé. Quelle nubi minacciose lo opprimevano nello stesso modo in cui il ricordo della madre appena scomparsa incombeva sul suo animo nei momenti di solitudine. Ad un tratto, immediatamente dopo un tuono, sentì un grido soffocato poco lontano, fuori dalla sua camera: conosceva bene quella voce … André si era precipitato alla porta e nel corridoio,  seduta per terra, stretta contro il muro, aveva visto Oscar tremante, con il viso nascosto tra le ginocchia. Si era seduto accanto a lei, aveva cercato di farle alzare lo sguardo e finalmente, quando lei lo aveva fatto, aveva letto nei suoi occhi la stessa solitudine e lo stesso disagio che anche a lui stava togliendo il sonno.

“Non dormi neanche tu, vero? Hai paura del temporale?” le aveva chiesto.

“Io non ho paura del temporale! – Oscar non avrebbe mai ammesso di aver paura di qualcosa ..., e nei suoi occhi era spuntato un riflesso orgoglioso - è solo che non riesco a dormire, con questo frastuono …”

“Beh, allora aspettiamo insieme che passi” e prendendola per mano l’aveva portata nella sua camera. Si erano seduti per terra, uno accanto all’altra, con la schiena appoggiata alla sponda del letto, ed erano rimasti lì insieme. Per un po’ erano rimasti in silenzio, con l’orecchio teso ad ascoltare il frastuono all’esterno; poi André aveva iniziato a parlare “Sai Oscar, quando c’erano i temporali e io non riuscivo a dormire, la mia mamma –  i suoi occhi verdi si erano fatti lucidi e la voce tremante – veniva sempre nella mia stanza, si sedeva accanto a me e mi faceva chiacchierare, perché diceva che così il temporale se ne sarebbe andato via più rapidamente …”

Oscar lo aveva guardato con aria speranzosa “dici che funziona anche senza la tua mamma?” gli aveva chiesto. “Possiamo provare …” le aveva risposto. Il temporale di quella notte aveva finito per spostare  la sua furia altrove e i due bambini non se ne erano nemmeno accorti, perché stanchi e tranquillizzati dall’essere insieme, si erano addormentati lì per terra, con le teste appoggiate l’una contro l’altra. Inconsapevolmente, quella notte Oscar aveva scoperto il piacere del poter condividere anche i momenti di debolezza, quelli che le veniva imposto di rimuovere dal suo essere, mentre André aveva ritrovato nella compagnia dell’amica il sollievo che ora non poteva più avere dall’affetto materno. Da quella notte, erano state tante le occasioni in cui i temporali, fuori e dentro di loro, erano stati affrontati insieme …

Poi erano cresciuti.

A Oscar veniva ripetuto continuamente che le debolezze non devono esistere nell’animo di un uomo, di un militare e per lei le occasioni per rifugiarsi nella compagnia notturna di André si erano drasticamente ridotte. Fino a quando la nonna aveva vietato categoricamente al nipote di varcare la soglia della camera di Oscar senza prima averla avvisata e, in ogni caso qualora avesse dovuto entrarvi, non avrebbe mai dovuto chiudere la porta alle sue spalle;  lo stesso valeva per Oscar, che doveva tenersi lontana da quella del ragazzo.

André lo ricordava bene, il discorso della nonna … glielo aveva fatto  proprio al termine di una giornata di fine estate; una giornata cominciata storta, quando andando a chiamare Oscar perché si recassero insieme  al fiume a nuotare, come facevano spesso, lui l’aveva trovata in lacrime e, in risposta alla sua insistenza, si era sentito urlare tra i singhiozzi “Non vengo al fiume. Non vengo e basta!”. Quel giorno, ciò che per André era sempre stato chiaro e che invece Oscar si era intestardita a negare, era diventato realtà anche per lei; una realtà odiosa e inaccettabile, contro la quale avrebbe lottato con tutte le sue forze, sacrificando se stessa e non solo.

 

Con il cuore sottosopra per i ricordi, André si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra: aveva sentito una carrozza arrivare e vedendola aveva riconosciuto quella del dottor Lassonne. “Oscar, non dovevi …” mormorò tra sé.

 

“Siete già stato ben medicato, André” osservò il medico con un mezzo sorriso, visto che la nonna gli aveva comunicato la testardaggine del nipote nel rifiutare le sue cure, e proseguì il controllo occupandosi soprattutto del braccio dolente, che immobilizzò. Poi consigliò di osservare almeno una settimana di riposo. Il dottore tuttavia, sembrava pensieroso e titubante; trovandosi in leggero imbarazzo, allontanò la nonna dalla camera con una scusa, poi, senza perdere tempo, si rivolse ad André diretto al punto “Voi non venite a farvi controllare da tempo. E ora il vostro occhio, André, non mi convince. Anzi, mi preoccupa molto: lo vedo da come faticate a mettere a fuoco quando vi guardate attorno … Voi dovreste affrontare la situazione senza perdere altro tempo, altrimenti … altrimenti potrebbe essere troppo tardi.” André aveva ascoltato in silenzio, con la testa bassa, senza battere ciglio, come se stesse sentendo parole già note nel suo cuore da tempo “Io credo che vi ci vorrebbe il consulto di uno specialista. Ce ne sono  e potrei suggerirvi un nome di un medico che opera nel nord Europa … sembra sia molto competente e all’avanguardia”. André era rimasto in silenzio, tenendo lo sguardo verso la finestra, senza guardare il medico e il suo silenzio parlava al dottore più di qualunque parola.

Come posso lasciare Oscar  pensava André – come posso chiederle di farmi visitare da medici in giro per l’Europa, io … un attendente? Io devo seguirla … devo stare con lei … si fa presto a consigliare di farsi curare da uno specialista! Sono entrato in questa casa con l’unico scopo di starle accanto e di proteggerla; e continuerò a farlo, finché i miei occhi vedranno anche solo un filo di luce, io le starò accanto …

“E poi anche le condizioni di madamigella Oscar non mi convincono” A queste parole André si era voltato di scatto a guardarlo, con un tuffo al cuore;  al dottore non sfuggì la sua reazione e decise di proseguire “ L’ho vista questa mattina e non mi riferisco alle ferite di questa notte. L’ho trovata pallida e molto magra … Credo che a entrambi farebbe bene una pausa dal servizio militare. E vorrei anche visitare più accuratamente madamigella Oscar.”

“Dottore cosa credete che …”

“André, io vedo bene che tu tieni molto a lei – in medico era passato a dargli direttamente del tu -  e ho visto anche quanto lei ti sia affezionata. Dammi ascolto: convincila ad abbandonare l’uniforme, almeno per un periodo. E soprattutto, convincila a tornare da me per una visita accurata …”

André aveva stretto le labbra con aria preoccupata, mantenendosi in silenzio; in effetti Oscar ultimamente gli era parsa pallida … ma lui non vedeva più così bene e forse molti particolari del suo fisico gli erano sfuggiti. Stava davvero così male? Era dimagrita? Beh, lui certo non poteva giudicare quanto pesasse Oscar; l’aveva stretta a sé quella notte, dopo tanto tempo … e in effetti, riflettendoci, Oscar gli era parsa magra, molto magra. Possibile che fosse tutto dovuto solo alla stanchezza? E poi, ripensandoci, forse l’aveva sentita anche tossire …

Allora la nonna aveva fatto ingresso nella stanza, con un vassoio e un bicchiere di vino per il dottore. “Ecco a voi, dottore …” e i due uomini erano stati interrotti.

Il medico, dopo aver riempito un paio di pagine con raccomandazioni per il completo recupero del braccio di André e per la cura delle sue ferite, lasciò il tutto sullo scrittoio della camera e, dopo aver gradito il vino offertogli dalla nonna, salutò André con un’occhiata di intesa “André, non dimenticate di farvi accompagnare da me per farmi controllare il vostro braccio …” e lasciò la camera, accompagnato dalla nonna.

André era rimasto assorto nei suoi pensieri: gli avvenimenti dolorosi della notte a Saint Antoine; il ricordo appannato del rientro a casa con Oscar; la notte con lei e il risveglio che gli aveva regalato il suo tenero bacio; la visita del dottore e i dubbi sulla salute di Oscar; e infine il suo occhio … Era davvero troppo!

Mille pensieri si affollavano nella sua mente sconvolta, senza che lui riuscisse a concentrarsi su nessuno di essi. Aveva bisogno di riposare e riflettere. Qualche giorno di tregua dalla caserma gli sarebbe stato davvero utile, anche se stare lontano da lei gli sarebbe pesato enormemente; ne era certo.

 

Vedeva André steso supino sul selciato: aveva gli occhi chiusi, i capelli impolverati, il viso graffiato e l’uniforme macchiata in più punti, anche di sangue. Lo sentiva lamentarsi con voce fievole e chiamare il suo nome. Lei cercava di raggiungerlo, ma il suo corpo sembrava non rispondere alla sua volontà e ad ogni passo che riusciva a compiere, le sembrava che André si allontanasse. Voleva chiamarlo, ma la voce non usciva e si sentiva quasi soffocare. Sentiva nella sua mano la spada, la avvertiva fredda e metallica sotto le sue dita; la teneva stretta, con la mano sinistra sull’elsa. Tolse lo sguardo da André per osservare i fogli che teneva nella mano destra; con fatica, mise a fuoco ciò che c’era scritto e ci riconobbe quei dispacci pieni di ordini militari che arrivavano spesso dai suoi superiori: erano ordini urgenti, lo capiva e doveva eseguirli al più presto. Sentiva una voce insistente che la chiamava “Comandante! Comandante!” come se aspettasse da lei un intervento immediato, una decisione che non poteva più aspettare. Alzò di nuovo lo sguardo: André ora era lontanissimo da lei e la sua voce era impercettibile. Anche le immagini si fecero appannate e confuse; riconosceva solo il corpo di André, ma tutto attorno era buio e il nero si chiudeva attorno a lui come ad inghiottirlo. Ormai sentiva nelle orecchie solo il suo cuore battere all’impazzata … doveva raggiungerlo, ma anche obbedire agli ordini … e le mancava il fiato … sentiva l’angoscia chiuderle i polmoni …  “Comandante! Comandante!” la voce ora le pareva lontanissima … e continuava a chiamare insistentemente.

 

Oscar aprì gli occhi e le ci volle qualche istante per riprendersi completamente; aveva il collo indolenzito e si rese conto di aver dormito in una posizione innaturale, seduta sulla sedia del suo scrittoio, con il capo chino su di un lato. Il respiro era ancora affannato, la mano sinistra chiusa a pugno sulla spada al fianco e la destra appoggiata sullo scrittoio, stringeva un foglio ormai tutto stropicciato.

Dopo qualche istante di silenzio la voce all’esterno ricominciò a chiamare “Comandante! Comandante!”, con tono sempre più inquieto. Ora la riconosceva: era la voce di Alain.

Avanti, entra pure Alain” avendolo riconosciuto, Oscar pensò che era meglio non farlo aspettare oltre.

Comandante, scusate, ma abbiamo bisogno dei turni per le pattuglie di questa notte e dei prossimi giorni; tra poco il primo gruppo deve uscire e non sappiamo ancora nulla …; non vi abbiamo visto tutto il pomeriggio … vi sentite bene? Non avete neppure pranzato …”

“Cosa?! Il primo gruppo di pattuglia sta per uscire?” intervenne Oscar che stava realizzando da quello che le aveva detto Alain, di aver dormito per gran parte del pomeriggio e che probabilmente era anche già ora di rientrare a casa. Non era possibile! Si alzò di scatto, rovesciando la sedia alle sue spalle e barcollando per il movimento brusco, tanto che Alain d’istinto le si fece vicino per sostenerla prendendola per un braccio.

Alain io … - Oscar lo fissò per un attimo con gli occhi spalancati cercando di riprendersi – credo di aver già preparato i turni, sono qua da qualche parte” e confusamente iniziò a rovistare fra le carte sullo scrittoio. Oscar era in evidente stato di imbarazzo, si sentiva fuori di sé per aver dormito alla scrivania ed era sconvolta dalle immagini del sogno che aveva fatto, ma anche si sentiva a disagio per non avere una risposta pronta alle richieste del soldato e, dovette ammettere, soprattutto per aver sentito la stretta di Alain sul suo braccio. Tremava e non riusciva a parlare; non le era possibile mettere insieme una risposta coerente alle domande di Alain e nemmeno a pronunciare qualche parola di circostanza, e questo non faceva che aumentare il suo disappunto.

Alain continuava a tenere stretto il suo braccio guardandola senza riuscire a parlare: la vicinanza con il Comandante lo turbava profondamente; ora poteva osservarla da vicino, come nemmeno durante il loro duello aveva potuto fare, sentiva il suo fiato addosso e, nonostante le sue condizioni, percepiva il profumo dei suoi capelli … In quegli attimi il suo pensiero corse ad André, che da sempre le era accanto e questo gli procurò un sottile disagio che tuttavia non riusciva a spiegarsi.

Trovati finalmente i fogli che cercava, Oscar li porse ad Alain, che ancora la teneva per il braccio; “Ecco i turni dei prossimi giorni” disse con voce finalmente più ferma e poi, divincolandosi dalla sua presa, continuò “Io, io devo rientrare a casa …, non più posso restare qui. Io ho da fare a casa … ho degli impegni.  Io ho lasciato il mio … ho lasciato …”  e le parole erano poi state soffocate; Oscar non era riuscita a terminare la frase e, soprattutto, a pronunciare quel nome.

Alain lasciò il braccio del Comandante soffocando a fatica un gesto di stizza e facendosi di lato per lasciarla passare; seguì con lo sguardo la sua figura mentre lasciava l’ufficio e restò con gli occhi puntati sulla porta vuota. Era rimasto senza parole, con le sopracciglia aggrottate, la mascella a penzoloni e le labbra socchiuse. Dopo un attimo, ripensando a tutto quello che aveva visto e sentito, l’uomo si raddrizzò, incrociando le braccia al petto e assottigliando gli occhi in due fessure scure e brillanti, ancora inchiodate al vano della porta. Le labbra si chiusero e la mascella si fece tesa; gli occhi si posarono sulla sedia ancora ribaltata dall’impeto di chi si era alzato con uno scatto e poi sullo scrittoio, dove le mani tremanti avevano rovistato tra i fogli, lasciando poi tutto in un inconsueto disordine. Era tutto ancora piuttosto confuso, ma di una cosa era certo: quello che era appena uscito dalla stanza non era il suo Comandante! Non era il militare fermo e inflessibile che aveva sfidato e detestato, non era la figura sicura e inarrestabile che li comandava da mesi, e non era nemmeno lo spirito indipendente e altero che li guidava ogni giorno e che aveva sopportato le loro ingerenze, pur senza punirli, finendo per guadagnarsi la loro fiducia. Quella che aveva sostenuto poco prima, che gli aveva porto i documenti tremante, che gli era passata di fianco lasciandolo lì con una mezza scusa era un’anima travagliata, uno spirito in subbuglio chiuso in un corpo in fremito e certamente in preda a emozioni che non era possibile soffocare. Raccogliendo i fogli stropicciati che Oscar gli aveva lasciato sullo scrittoio, e riprendendosi dallo stupore per quello a cui aveva assistito, Alain non poté fare a meno di lasciarsi scappare un mezzo sorriso: nella sua mente, adesso era chiaro cosa c’era di nuovo in quello che aveva visto nell’ufficio della Caserma. Semplicemente, quello che era uscito di corsa per rientrare a casa, non era il solito Comandante, ma era una donna.

Una donna che non può indugiare oltre, non può attendere più nemmeno un istante, perché deve raggiungere qualcosa di veramente importante; anzi, qualcuno di veramente importante. Oscar aveva detto “Io, io devo rientrare a casa …, non più posso restare qui. Io ho da fare a casa … ho degli impegni.  Io ho lasciato il mio … ”  e non aveva terminato la frase. Impegni? “Cosa hai lasciato a casa, Comandante?”, pensò tra sé. Il sorriso sornione sulle labbra di Alain, lasciò spazio a una sonora risata.

Quando si riprese, Alain guardò dalla finestra dell’ufficio del Comandante e fece appena in tempo per vederla lasciare la Caserma in tutta fretta, in sella a César.

 

 

Continua...

 

Fine Terza Parte

Maddy (mail to emmevi_1976@libero.it)