ORIZZONTI

 

CAPITOLO 7 : Alba

È giugno, e l’alba arriva presto, luminosa e piena di promesse.

I raggi del sole colpiscono le palpebre di Oscar che volge il viso alla finestra. La luce è in parte ostacolata dalla presenza di un corpo, una silhouette evanescente dai contorni luminosi. Oscar apre completamente gli occhi e vede Andrè che dorme dando le spalle alla grande finestra e che a quanto pare si è addormentato cingendola con le sue braccia. Oscar supera un primo moto di sorpresa, poi le immagini della notte appena trascorsa le affollano la mente e lei arrossisce e sorride; non può proprio reprimere quel sorriso da ragazzina che le distende i tratti del volto. Le dita della mano sinistra salgono a sfiorare le sue labbra mentre quelle della mano destra compiono lo stesso movimento sulle labbra di Andrè; il tocco è leggero, come quello di una coccinella che zampetta sulla mano di un bambino, perché non vuole svegliarlo… vuole osservarlo ancora un po’, per sempre, mentre dorme con quell’espressione serena sul volto. Oscar è felice perché sente che quell’espressione è merito suo, ma poi lo sguardo le cade sull’occhio sinistro, attraversato da una piccola, netta, bruciante cicatrice, e questo le causa dolore perché sa che è colpa sua. Andrè è pieno di cicatrici inferte da lei nel corso degli anni; quella sull’occhio è l’unica visibile. Ma ora può rimediare, può chiedere perdono, può dargli tutto ciò che gli ha negato in questi anni terribilmente solitari per entrambi. Le loro ferite non spariranno, ma insieme potranno costruire nuovi ricordi, ricordi felici, che spingeranno in fondo, sempre più in fondo, quelli dolorosi…

Un sospiro sfugge dalle labbra di Andrè e solletica le dita di Oscar, ancora poggiate sulle sue labbra. Basta pensieri negativi. Basta pensare a ieri. Oscar alza la testa lo bacia, delicatamente. In realtà poggia solo le sue labbra su quelle di Andrè. Potrebbe restare così per sempre. Andrè apre gli occhi. Un risveglio nuovo, che sa di sogno, sa di desiderio, sa di speranza, sa di Oscar…

Le labbra si stirano in un sorriso mentre sono ancora unite.

“Buongiorno, amore.”

“Buongiorno, amore.”

“Cosa vuoi fare oggi?”

“Voglio provare a vivere.”

Vieni con me

Ti porterò

Dentro i deserti che ho scoperto con te

 

 

CAPITOLO 8: Visite

Giugno esplodeva e così sembrava fare l’amore che Oscar ed Andrè non potevano e non volevano più contenere. Novelli Adamo ed Eva si godevano il loro paradiso terrestre composto da una casa vuota, una locanda in cui mangiare, prati e boschi in cui passeggiare durante le ore di luce ed un letto in cui trascorrere le ore di buio. Il futuro era fatto di frammenti.

Durante una delle loro passeggiate li sorprese un temporale estivo, breve e violento. Tornati a casa Andrè preparò un bagno caldo per Oscar, per scongiurare il pericolo della febbre. Non bastò. Una febbriciattola leggera e maligna la sorprese comunque e quella notte, dopo tanti giorni sereni, Oscar tossì sangue.

La mattina dopo era atteso il dottor Lassonne che era già passato lo scorso mese per una visita di controllo ed aveva confermato con gioia la speranza che albergava negli occhi di mademoiselle Oscar. Ma questa visita fu meno positiva.

“Mademoiselle, sembra abbiate avuto una ricaduta…”

“Ieri ci siamo trovati all’aperto durante il temporale; è una semplice febbre, come sarebbe potuto capitare a chiunque. Sto bene.” Il tono imita quello del comandante, ma sotto di esso scorre una vena di paura.

“Ma certo mademoiselle, è una febbre dovuta alla pioggia, ma le vostre condizioni di salute già compromesse non possono permettersi nemmeno un raffreddore. Dovete continuare la cura e fare più attenzione.”

“Lo faremo, dottore.”

*

“Signor Generale, il dottor Lassonne chiede di essere ricevuto da voi. Posso farlo entrare?”

Alle parole di Nanny, entrata silenziosamente nello studio, il generale Jarjayes alza la testa dalle carte che stava esaminando. Fissa su Nanny uno sguardo quasi disarmato, poi dice: “Fallo accomodare.”

Il dottor Guillame Lassonne entra nello studio e saluta il generale chinando leggermente il capo.

Silenzio.

“Suppongo, dottor Lassonne, che siate qui per qualcosa che riguarda mio figlio?”

Lassonne reprime, come fa da anni, il moto di rabbia che sente nel corpo ogni volta che il generale parla di mademoiselle declinando i termini al maschile.

“Sì signor Generale, sono qui per aggiornarvi sulla salute di mademoiselle Oscar.” Lui l’ha sempre chiamata così, ed il generale ha smesso di riprenderlo ormai da anni. È una guerra sotterranea tra due uomini orgogliosi.

“Vi ascolto, dottore. Nanny, resta anche tu.”

Nanny stava rispettosamente uscendo dallo studio, ma richiuse subito la porta e rimase lì, silenziosa. In attesa.

“Signor Generale, cosa sapete della salute di mademoiselle?”

“So che sta bene, ma che voi le avete ordinato un periodo di riposo per rimettersi dall’affaticamento degli ultimi mesi. Così mi ha detto prima di partire.”

Lassonne si aggiusta gli occhiali sul naso.

“Mademoiselle Oscar ha la tisi.”

Silenzio.

“Sciocchezze, Oscar sta bene. Se avesse avuto la tisi me ne sarei accorto.”

“Ne dubito, signor Generale.”

Lo sguardo di Lassonne si potrebbe definire accusatorio se non fosse così fermo. Quello del Generale esprime la rabbia di chi non è abituato ad essere contraddetto ed che ora si trova di fronte qualcuno che lo fa a ragion veduta.

“Signor Generale, mademoiselle Oscar sputava sangue quasi quotidianamente da settimane quando, due mesi fa, le ho ordinato di prendersi un congedo di almeno tre mesi.”

Un singulto.

È Nanny, con le mani a coppa sulla bocca e gli occhi sgranati.

“Per fortuna mademoiselle ha accolto il mio consiglio; testarda ed orgogliosa com’è temevo che non mi avrebbe ascoltato. Invece ha subito chiesto il congedo temporaneo dal servizio ed è partita per Arras.”

Silenzio.

“Chi lo sa?” il Generale parla con gli occhi sgranati ed un’espressione incredula su tutto il volto.

“Fino a quando non sono entrato nel vostro studio cinque minuti fa, solo Andrè.”

Il Generale fissa Nanny, come se cercasse delle risposte in quel volto vecchio e saggio. Ma la donnina non ha risposte da dare, stavolta. Il suo volto, una maschera di dolore.

“Perché..?”

“Perché cosa, signor Generale? Perché non vi ha detto che stava morendo? Suppongo, conoscendola da quando è nata, per orgoglio. Per non farvi preoccupare e non farsi compatire. Perché spera di tornare guarita, senza così dover dare spiegazioni di sorta a nessuno.”

Silenzio.

“No, non è quello… cioè, sì, anche… ma…” il Generale è in difficoltà, ed il dottore non ha nessuna intenzione di soccorrerlo.

“Ma ora Oscar come sta?” il dolore, quello vero, erompe nello studio tramite la voce di Nanny.

Lassonne si gira verso di lei, dando le spalle al Generale.

“Sono andato a visitarla il mese scorso, dopo meno di un mese dalla sua partenza. L’ho trovata migliorata, con un colorito più sano e un po’ di carne in più sulle ossa. Oltretutto sembrava serena. Quindi sono partito con una concreta speranza di una completa guarigione.”

Il volto di Nanny sembra distendersi un po’, ma le lacrime non smettono di scorrere tra le dolci rughe del suo volto senza tempo.

“Ma… ieri sono andato per la seconda visita ed ho trovato mademoiselle a letto con febbre e tosse. Andrè mi ha detto che ormai stava bene da almeno due settimane, ma che il giorno prima erano stati sorpresi da un temporale durante la passeggiata che fanno sempre nel pomeriggio. Ora, questa febbre potrebbe essere passeggera oppure, viste le comunque ancora precarie condizioni di salute di mademoiselle Oscar, potrebbe causarle una grave ricaduta. Non dimenticate che i suoi polmoni sono gravemente compromessi, e…”

“Perché non mi avete parlato della salute di mio figlio quando è stato il momento?” la rabbia del Generale è infine esplosa ed il suo obiettivo è chiaro.

Il dottor Lassonne lo guarda con calma e risponde: “ Non ve l’ho detto per due ottimi motivi, signor Generale. Il primo è che ho obbedito ad un preciso desiderio di mademoiselle Oscar che voleva mantenere il tutto nel segreto più assoluto. Il secondo motivo è che comunque Voi non avreste potuto fare nulla.”

La voce è calma, non alterata, professionale, ma il Generale ne avverte comunque la sotterranea vena di accusa.

“E allora perché me lo dite ora? Perché avete deciso di tradire il segreto di mademoiselle Oscar?”

“Perché forse guarirà, cosa che spero con tutto il cuore, ma forse morirà. E Voi, signor Generale, avete ora il tempo e la possibilità di fare ammenda.”

È troppo. Il Generale scatta in piedi rovesciando la sedia su cui era rimasto seduto e guarda il dottore con i suoi occhi di ghiaccio che ardono. Lassonne sostiene lo sguardo che vorrebbe distruggerlo con serena dignità.

“Avete compreso ciò che vi ho detto, signor Generale? Vostra figlia rischia di non vedere la fine di questa estate.”

Nanny scivola lungo la porta, si abbraccia le gambe e piange. Il Generale sembra una statua. Il dottore si inchina e se ne va.

 

 

CAPITOLO 9 : I conti tornano (intermezzo semiserio)

La cosa buffa è che si trovarono tutti e due, nello stesso momento, di fronte al cancello di casa Jarjayes. Entrambi rimandavano da giorni il momento, ma volevano avere qualche notizia di Oscar, e l’unico modo era chiederla a suo padre. O alla governante. O meglio ancora ad Andrè.

Il conte Fersen ed il conte Girodel si salutarono civilmente ed insieme varcarono il cancello in sella ai rispettivi cavalli. Percorsero il viale di ingresso nel silenzio più assoluto.

Girodel non stimava quello svedesone insulso che aveva coinvolto la Regina in un grave scandalo, che non si faceva sfuggire una gonnella a Versailles, fosse di una Duchessa o di una cameriera, e che, non riusciva proprio a spiegarsi come, era riuscito persino a suscitare l’interesse di mademoiselle Oscar. Oh sì, lui se ne era accorto! Stava tutto il giorno al fianco del suo bel comandante e la osservava. All’inizio non capiva la curiosità che suscitava in lui quella donna assurda, ma poi capì che l’amava. Lei l’aveva rifiutato, ma questo non aveva certo modificato i suoi sentimenti.

Fersen guardava di sottecchi il suo temporaneo compagno di viaggio. Quello aveva avuto il coraggio di chiedere ufficialmente la mano di Oscar! Ed il Generale aveva pure accettato! Poi però aveva saputo da frenetiche chiacchiere di palazzo (dio, quanto si erano divertiti tutti in quei giorni) che Oscar aveva dato il benservito a Girodel e a tutti gli altri pretendenti. Ed erano tanti, i pretendenti alla mano di Oscar. Fersen ne era rimasto sinceramente stupito. Cioè, sì, era intelligente, coraggiosa, onesta… non simpaticissima… bella… beh sì, Oscar era bella… però sempre con l’uniforme… cioè, lui l’aveva pure vista in abito da sera… e non stava niente male… però… arrivare a chiederla in sposa..? e chi avrebbe comandato in casa?

Cavalca e rimugina erano arrivati al portone dell’ingresso principale. Girodel bussò ed una cameriera venne ad aprire. Fersen le chiese se il Generale era in casa. La ragazza rispose che sì, c’era, ma si stava preparando a partire. Li fece accomodare mentre li annunciava.

Il Generale Jarjayes stava facendo preparare un bagaglio leggero. Andava ad Arras. Quando gli annunciarono la presenza dei conti Girodel e Fersen esitò, poi li fece accomodare.

I tre conti si inchinarono rispettosamente e reciprocamente.

“A cosa devo l’onore delle vostre presenze?”

Girodel prese al volo la parola. “Signor Generale, sono qui perché desidero avere notizie di mademoiselle Oscar.”

“Sono qui per lo stesso motivo, signor Generale.” Il nobile baltico fa l’eco.

Il Generale, da bravo stratega (anche se negli ultimi 33 anni le sue strategie son andate un po’ tutte a puttane) osserva i due conti e si fa due conti. Quel ruffiano di svedese era amico di Oscar e ha frequentato parecchio casa sua. Quello con la criniera leonina l’aveva addirittura chiesta in sposa. Ed ora erano tutti e due lì, a chiedere notizie di Oscar, con un’espressione preoccupata. Cioè, quella di Fersen poteva essere un’espressione preoccupata o di qualsiasi altro tipo… non era facilmente decifrabile… aveva visto pesci sul tagliere più espressivi…

Il Generale prese una decisione.

“Sedetevi signori, vi debbo parlare.”

Siamo rimasti in tre,

tre somari e tre briganti

 

 

CAPITOLO 10 : Incroci (torniamo seri)

I tre conti si erano accomodati e, di fronte ad una tazza di tè, il generale aveva infine preso la parola.

“Oscar sta male.”

Silenzio.

“Perdonatemi, signor Generale, ma… cosa intende di preciso?” la voce di Girodel trema leggermente, presentendo il peggio.

Silenzio.

“Quando è partita mi aveva detto che aveva solo bisogno di una vacanza. Ma ieri il dottor Lassonne mi ha rivelato la verità.”

Silenzio.

“Oscar è affetta da tisi.” La voce del Generale è leggermente incrinata. Dal dolore… dalla rabbia… Suo figlio, il dottore, hanno agito alle sue spalle… e Oscar che si prende quella malattia da plebei e da donnette…

Silenzio.

“No, non è possibile…” la voce di Girodel è realmente carica di dolore misto ad incredulità.

Il Generale lo fissa dal bordo della tazza di tè. Quell’uomo voleva sposare Oscar. Lui aveva concesso la sua mano perché la reputava una mossa strategica. Suo figlio aveva più di trent’anni e obiettivamente non avrebbe potuto lavorare nell’esercito ancora per molto. Tanto valeva che si sposasse e mettesse al mondo l’erede del casato Jarjayes, che altrimenti si sarebbe estinto con Oscar. Ma Oscar aveva rifiutato e per il momento lui non aveva insistito. C’era ancora un po’ di tempo. C’era. Adesso non più. Adesso era il momento di correre ai ripari. E quei due capitavano giusto a proposito.

“Il dottore mi ha detto che, a parte una piccola ricaduta, sembra che si stia riprendendo. Ha una tempra forte. Ma quando si ristabilirà completamente non ritengo sia il caso che riprenda l’uniforme.” E lanciò uno sguardo eloquente a Girodel e, per buona misura, anche a Fersen. Quello era facilmente manovrabile; poteva fargli apparire particolarmente vantaggioso il matrimonio con un’amica intima della Regina…

Fersen si riscosse e riuscì a domandare: “Ma Oscar dove si trova di preciso?”

“Oscar si trova nella nostra tenuta di Arras. Anzi, nella sua tenuta; ho intestato a… lei, quella proprietà già diversi anni fa, visto che è sempre stata la sua preferita.” Il Generale ci teneva a sottolineare che Oscar era in possesso di cospicue proprietà.

I due conti non colsero l’allusione, entrambi troppo sconvolti dalla notizia della malattia di Oscar.

Un lampo. Girodel domandò: “Ma si trova lì da sola? Chi c’è con lei?”

Il Generale rispose con sufficienza e tranquillità: “L’ha accompagnata Andrè.” Come se sottolineasse l’ovvio.

“Quindi Andrè sapeva della malattia di mademoiselle Oscar dall’inizio?” domandò con una certa circospezione Girodel.

“Così pare.” Rispose quasi scocciato dall’ovvietà il Generale.

“E sono ad Arras da soli?” l’interrogatorio di Girodel prosegue, ma senza la collaborazione del Generale che risponde: “Non poteva certo partire da sola. Andrè è il suo servitore. Era suo preciso compito accompagnarla.”

Niente, il Generale non capisce.

E dire che persino negli occhi di Fersen si accende una scintilla di comprensione. Quella notte a Sant Antoine…

Ora i tre si guardano apertamente. Girodel è quello che più di tutti sembra aver compreso la situazione; seguono Fersen, che ci sta quasi arrivando, ed il Generale, che proprio non ce la fa.

Girodel ha un’intuizione. Il Generale, nonostante tutto, nonostante i propositi di darla in sposa, non ha mai messo realmente a fuoco il fatto che Oscar è una donna. La negazione di quella precisa realtà ha messo radici troppo profonde nella sua mente militare. E se Oscar non è una donna, dov’è il problema se sta da sola, da due mesi, in una villa di compagna isolata, con Andrè? Che oltretutto non è nemmeno un vero essere umano, ma un semplice servo? Girodel credeva nella distinzione di classe; c’è chi comanda e chi esegue gli ordini. Così deve essere se si vuole mandare avanti il mondo. Lui faceva parte della classe dominante, e ne era fiero. Andrè Grandier invece faceva parte della classe inferiore; erano nati così, punto e basta. Ognuno aveva il dovere di svolgere il proprio ruolo. Ma sembrava proprio che Grandier non accettasse questa semplice regola. L’aveva sempre sconvolto sentirlo rivolgersi ad Oscar, la sua padrona, utilizzando il tu e chiamandola con il solo nome di battesimo. Così, senza appellativi, onorifici, nulla. E lei non diceva niente. Anzi, sembrava la cosa più naturale del mondo, per lei. A quelli che le si inchinavano chiamandola mademoiselle, monsieur le comte, signor Comandante rispondeva con un cenno distratto del capo. Poi arrivava il suo servo e le diceva: “Oscar, la Regina ti chiede di raggiungerla nei suoi appartamenti.” e lei lo ringraziava, dandogli ovviamente del tu. Ed ora Grandier era stato scelto come unico custode del suo segreto. Chissà se mademoiselle Oscar aveva trovato la risposta alla domanda che lui le aveva rivolto quella sera nei giardini di casa Jarjayes? La sera in cui aveva sperato di sentire un sì uscire dalle sue labbra e che invece lo aveva visto costretto a rinunciare a lei.

“… mi accompagnerete?”

Girodel viene riportato al presente dalla voce del Generale.

“Perdonatemi, signor Generale, può ripetere?”

Visibilmente scocciato il Generale ripeté la sua proposta: “Dicevo che io sto partendo per Arras, per assicurarmi delle condizioni di Oscar e vi stavo chiedendo, signori, di accompagnarmi. Visto che siete venuti qui per chiedere notizie di Oscar ritengo che non rifiuterete.”

Fersen accetta immediatamente. Girodel ci pensa un secondo di più. Certo, vuole vedere Oscar. Ma. Ma lei è lì, malata, con Grandier. E poi è evidente che la proposta del Generale nasconde un secondo fine. Ma decide di rischiare. Vuole delle risposte. Vuole delle certezze. Vuole vedere Oscar, guardarla negli occhi e capire.

“Vi accompagnerò volentieri anch’io, signor Generale.”

“Vi ringrazio, signori.” Il Generale piega leggermente il capo, nascondendo così uno strano sorriso.

 

CAPITOLO 11: Incontri

Il viaggio alla volta di Arras non è dei più rilassati. Il Generale è perso nei suoi calcoli, Girodel non riesce a non pensare che Oscar è sola da due mesi con quel Grandier, e Fersen, oltre ad essere sinceramente preoccupato per Oscar, continua a pensare che quel Girodel vuole sposarla. “Sposare Oscar… che idea assurda… cioè, non poi così assurda. Io non ci avevo mai pensato, non credevo che Oscar potesse mai sposarsi. Però è una donna, è naturale, in fondo. E anche molto bella, è innegabile. Quella sera, al ballo, con quel vestito che la fasciava e le lasciava scoperte le spalle e le braccia stava… davvero bene. Con quella pelle così candida e profumata. Sembrava una statua di quello scultore italiano, il Canova. Le sue statue sembrano avere la carne morbida… come quella di Oscar. E un marito avrebbe il diritto di…” Fersen si perde in una fantasia che sconvolge lui per primo. Ma che non sconvolgerebbe Girodel.

La villa nella tenuta dei Jarjayes si affaccia sulle rive di un piccolo lago tranquillo. I tre visitatori costeggiano la curva della spiaggia ricca di vegetazione, ormai vicini alla casa.

Lì, sulla riva del lago, una scena particolare si offre ai loro sguardi.

Una chaise-longue. Sulla sabbia. Parallela alla linea di demarcazione tra spiaggia e lago. E sulla chaise-longue, Oscar. Oscar, sdraiata ed avvolta in uno scialle ampio e morbido. E, seduto sulla sabbia, con la schiena poggiata alla chaise-longue, Andrè Grandier. Ai piedi della chaise-longue, un carrellino con tazze, bicchieri e boccette.

Il trio di visitatori inattesi si avvicina.

Grandier tiene un libro tra le mani, e muove le labbra.

Sta leggendo. Sta leggendo per Oscar, che resta sdraiata, con il volto rivolto ai riflessi di luce sull’acqua. Un’espressione serena sul volto pallido, mentre si abbraccia stringendosi addosso lo scialle.

Ora i tre ospiti non invitati sono giunti al limitare della sfera protettiva che sembra avvolgere quella scena curiosa, fuori dal tempo, fuori dallo spazio, fuori dalle regole.

I due personaggi del tableau vivant si accorgono dell’intrusione e voltano la testa, contemporaneamente, in direzione dei tre cavalieri. Se sono infastiditi o sorpresi da quella intrusione, non lo danno a vedere. I loro volti non mutano espressione, restando calmi e sereni.

“Padre. A cosa devo l’onore della vostra visita, insieme ai conti Fersen e Girodel?” Oscar pronuncia questa frase di benvenuto restando sdraiata nella medesima, rilassata posizione, solo, dato che i tre sono giunti dal lato dove si trova la sua testa, poggia la testa sullo schienale, guardandoli quindi al contrario, con i capelli che scendono come un sipario e che, con la loro lunghezza, formano eleganti arabeschi sulla sabbia.

Nel medesimo istante, Andrè mette il segnalibro alla pagina, chiude con delicatezza il volume, si volta verso gli ospiti e si alza per salutarli, poggiando il libro sulla chaise-longue di fianco ad Oscar. A Girodel cade l’occhio sulla copertina: La nouvelle Eloise, di Jean-Jacques Rousseau. “Oh, ma davvero Grandier? Leggi quel romanzo sconcio alla tua padrona? O te l’ha chiesto lei di leggerlo?” Lo sguardo che passa tra Andrè e Girodel dura il tempo di un lampo estivo, ma porta con sé una incredibile mole di informazioni. Informazioni che non vengono colte da Fersen, né tantomeno dal Generale.

“A cosa devo l’onore della vostra visita?!? Oscar, ma ti rendi conto? Mi hai mentito!!! Ho dovuto saperlo dal dottor Lassonne che… stai male!!! Ti sembra un comportamento corretto nei confronti miei, della tua famiglia, dei tuoi doveri?”

Le urla del Generale turbano la tranquillità del luogo, mettendo in fuga uno stormo di anatre che se ne stavano buone buone nel canneto sulla riva del lago, ma sembrano non intaccare minimamente la serenità di Oscar, che ora si alza e si lascia scivolare lo scialle che poggia sulla chaise-longue, avvicinandosi ai tre intrusi che nel frattempo sono scesi da cavallo.

“E così il dottor Lassonne ha fatto la spia. Lo immaginavo. E non ce l’ho con lui; so che ha agito in buona fede. Credo persino di riuscire a comprendere le sue ragioni.” Un breve silenzio, poi… “Padre, vi prego di non preoccuparvi; sto guarendo. Lo sento. E voi…”

“Non dirmi cosa devo fare, Oscar!!! Mi preoccupo, perché l’erede del mio casato è ammalato! E sai perché? È colpa mia. Sì, è colpa mia perché negli ultimi mesi ti ho permesso di fare di testa tua; hai voluto lasciare la Guardia Reale, hai voluto metterti a capo di quella banda di pezzenti, hai rifiutato decine di proposte di matrimonio… e io ti ho lasciato fare, ho voluto trattarti da persona matura… ed ecco i risultati! Ti sei ammalata! Sei contenta? Beh, da adesso in poi le cose cambieranno; farai quello che dico io…”

“NO!”

I cinque personaggi in scena sono congelati nelle loro posizioni, ognuno con un’espressione di sgomento o rabbia sul volto.

“Come hai detto, Oscar?” la voce del Generale è una lama.

“Ho detto No, padre. Mi assumo la responsabilità della mia malattia, mi sto curando e sto guarendo. E quando sarò guarita tornerò a comandare la Guardia Metropolitana, e…”

“Non te lo permetterò!”

“Non sto chiedendo il vostro permesso!”

L’ultimo urlo sembra aver scosso persino le placide acque del lago.

I due duellanti si fissano; quattro occhi celesti si lanciano una sfida. Nessuno dei due abbassa lo sguardo. I tre spettatori sono congelati.

Poi qualcosa attraversa lo sguardo di Oscar; un lampo di dolore, che si vorrebbe trattenere, ma che è impossibile arrestare. Il colore abbandona completamente il suo viso e arriva la tosse, violenta, squassante.

Oscar crolla in ginocchio. Le mani sulla bocca. Un rivolo di sangue tra il medio e l’anulare della mano sinistra.

Andrè, senza una parola, si è velocemente avvicinato al carrello ai piedi della chaise-longue; ha preso un fazzoletto e una boccetta e ha versato il liquido contenuto nella boccetta sul fazzoletto.

Con calma, ma velocemente si avvicina a Oscar, ancora in ginocchio sulla sabbia, ancora sola, poiché i tre visitatori sono rimasti in piedi a fissarla, paralizzati dal terrore.

Andrè si inginocchia al suo fianco e le poggia la mano aperta, in cui ha steso il fazzoletto imbevuto di medicinale, sulla bocca, da cui prima ha scostato delicatamente ma fermamente le mani di lei. La mano destra sulla bocca e la mano sinistra a sorreggerle la nuca, Andrè le parla in maniera chiara e tranquillizzante: “Oscar, lo sai, devi sforzarti di fare respiri profondi.” E insieme iniziano a prendere respiri profondi, riempiendo i petti, per poi rilasciarli lentamente e sonoramente. Uno, due, tre respiri… I secondi passano. Oscar e Andrè sono ancora in ginocchio sulla sabbia. Il volto di Oscar protetto dalle mani di Andrè. Gli sguardi agganciati, che escludono tutto il resto del mondo, quel mondo fatto di padri, conti, generali, regole, obblighi… La mano sinistra di Oscar artigliata alla mano destra di Andrè, quella che preme il fazzoletto sulla sua bocca. La mano destra di Oscar aggrappata al braccio di Andrè, come un naufrago che ha trovato soccorso. E poi quegli occhi, quei tre occhi, due color pervinca e uno smeraldo, che si riflettono, che cancellano le distanze tra di loro e demarcano le distanze dal resto del mondo, che cancellano dubbi, paure, angosce in se stessi, ma che le alimentano nei tre ospiti che assistono alla scena impietriti, ma attraversati come da una nuova consapevolezza a cui comunque ancora non riescono a dare un nome, una forma, perché sono stati educati così, perché una cosa simile non può esistere, perché le regole dicono che non può esistere…

Le regole prevedono che un nobiluomo si possa divertire tanto con donne del suo lignaggio, quanto con quelle della servitù e, le stesse regole dicono che anche le nobildonne hanno questi diritti, ma ovviamente devono esercitarli con una maggiore discrezione, per rispetto nei confronti della grazia che impone il loro sesso.

Ma per Oscar che regole valgono?

Il Generale ci ha mai pensato? Ha mai pensato che, uomo o donna, Oscar è un essere umano con dei sentimenti e dei desideri fisici? No, evidentemente non si è mai posto il problema, nemmeno quando le ha proposto il matrimonio. “Oscar, sfornami un erede!” E certo, lo porta la cicogna! E nemmeno gli altri due hanno mai pensato ai sentimenti di Oscar, nonostante uno volesse sposarla e l’altro sapesse di essere amato da lei. Chissà perché Oscar viene sempre e solo vista in funzione del ruolo che le si vuole far interpretare, e mai come un essere dotato di personalità e sentimenti...? E probabilmente nessuno nemmeno a Versailles l’ha mai veramente vista come una persona. Certo, le battutine non sono mai mancate, ma l’algido comandante deve aver fatto pensare a tutti di essere una sorta di creatura ultraterrena, superiore ai moti dell’animo umano.

Ed ora… quella sconvolgente intimità con il servo, sempre presente e sempre invisibile… Un servo che ora assume ai loro occhi tutti i connotati fisici e morali di un uomo. Un uomo che vive fianco a fianco con Oscar da quasi trent’anni. L’uomo a cui Oscar ha rivelato la verità sulla sua malattia. L’uomo che lei ha portato in quella casa di campagna isolata. L’uomo che ora le sorregge la testa, l’uomo a cui lei si aggrappa, l’uomo che lei fissa negli occhi e che le restituisce uno sguardo di uguale intensità.

Nessuno parla mentre la crisi di Oscar passa, nessuno formula un pensiero concreto, ma la sensazione di essere degli intrusi nell’intimità di quei due è forte. Se li avessero sorpresi a fare sesso su quella chaise-longue sarebbero stati meno sconvolti e imbarazzati. Sì, perché in quel caso si sarebbe potuto catalogare l’incidente come un semplice fatto di sesso tra padrona e servo; visto e stravisto a Versailles e in tutta la Francia. Ma quello sguardo… quello sguardo era qualcosa di più… qualcosa che loro tre non avevano mai visto… No, decisamente non era un fatto di sesso. Era qualcosa di molto più grave.

Siamo noi

Siamo in due

Due lampi nel mare di questa città

Dove tutti han bisogno d’amore

Proprio come noi

 

 

Fine Seconda Parte

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)