Il testo qui sotto è tratto da un'edizione del 1954 de "Le Donne della Rivoluzione" di Jules Michelet. Purtroppo il libro non è in mio possesso per cui non so darvi note dettagliate sul volume. Non detengo nessun copyright di contenuto, né di testo.

VERSO IL PATIBOLO
16 ottobre 1793

 

Le ultime ore di Maria Antonietta alla Conciergerie

Fu la figlia del carceriere Bault che la servì per la sua ultima toletta. La regina volle abbigliarsi con più decoro e più cura degli altri giorni. Si spogliò dell’abito a gramaglie che aveva sempre indossato dopo la morte del marito, e ne vestì uno bianco, simbolo dell’innocenza e di gioia per la speranza nella vita futura.
Un fazzoletto bianco le ricopriva le spalle, e una cuffia, piuttosto alta, in capo; solo segno di lutto un nastro nero attorno alla cuffia, e due piccoli altri attorno ai polsi.
Ella chiese ai gendarmi, dai quali era separata da un semplice paravento: “Credete che il popolo mi lascerà andare al patibolo? Che non vorrà farmi a pezzi?”. Quelli risposero: “Non vi sarà fatto alcun male, signora”.
Alle cinque del mattino, i tamburi d’adunata avevano rullato da tutti i posti della capitale, e alle sette le milizie erano già pronte in armi, per far siepe lungo le strade per il passaggio della regina condotta a morte. Alle undici gli esecutori entrarono nel camerone dei condannati alla Conciergerie. La regina abbracciò la figlia del carceriere, si tagliò da sola i capelli, e senza dir parola si lasciò legare le mani dietro la schiena, pallida ma senza sgomento, evidentemente la natura obbediva alla sua forte volontà, padroneggiando l’istinto della vita.
Maria Antonietta sperava d’esser condotta alla ghigliottina in una carrozza, come Luigi XVI, e fece un gesto di stupore e di orrore quando, uscendo dal cortile, vide la fosca carretta dei condannati, verso la quale la scorta stava dirigendosi. Era il solito rue e contadinesco carretto di trasporti, con attraverso delle sbarre laterali, la panchetta di legno, senza un po’ di paglia per rendere meno aspri i trabalzi e gli scossoni delle ruote.
Ecco, si apre la cancellata e compare Maria Antonietta. Si avanza pallida, ma fiera. Sanson la segue tenendo l’estremità della funicella che lega alla schiena le mani della condannata. Il carnefice sembra che, con un certo compiacimento, lasci ondeggiare la lunga funicella che avvince la regina. Sul carretto, da un lato e più in basso, si siete un aiutante del boia, e tiene il suo tricorno in mano; vi è anche, vestito da laico, l’ostinato Don Lothringer.
Si levano d’intorno grida altissime di “Viva la Repubblica!”, “Abbasso la tirannia!”, “Largo alla vedova Capeto!”, “Largo all’Austriaca!”.
L’ex cantante Grammont, un hébertista fanatico, aiutante di campo del generale Ronsin, e che con lui venne poi al supplizio insieme ad un suo figlio diciannovenne, incita il popolo e scaglia vilissime invettive: egli è a cavallo e, ritto sulle staffe, indica con la spada la regina, e dà il segnale degli applausi alla folla brutale e oltraggiante.

Fac-simile dell'ordine di esecuzione della sentenza di morte di Maria Antonietta. La scrittura che completa il mandato è tutta di Fouquier Tinville.

Così legata, l’infelice non può, benché seduta, mantener l’equilibrio per i continui trabalzi del veicolo, e si vede come essa cerchi di serbare un dignitoso contegno fra tante miserie e tante umiliazioni. Ha, come la colse il David, il busto magro ed eretto, la testa alta; nulla è incomposto nella rigidezza di quella figura di morente che sembra il simbolo della Tragedia.
Lungo il percorso le finestre, le balconate, gli alberi sono gremiti di spettatori; ma nel complesso il pubblico rimane in silenzio; soltanto qualche gruppo rabbioso di megere si accanisce all’inseguimento, con gesti di scherno e con insulti.
Ricordava in quel momento, la regina, un altro corteo ben diverso? Si affacciava alla sua memoria quel giorno, ormai lontano, quando, appena sposa del Delfino, aveva fatto la sua entrata lieta e trionfale in quella stessa capitale, tra una pompa mirabile e un entusiasmo che pareva frenetico? Allora essa era nel pieno fulgore della sua bellezza, e tutte le speranze e le grazie sorridenti l’accompagnavano attorniando la carrozza dorata, che a stento poteva fendere la folla acclamante, che l’ammirava e la benediceva..; il maresciallo de Brissac, governatore di Parigi, le era andato incontro dicendole: “Madama, avete intorno a voi trecento mila cuori innamorati!”. Che cambiamento da quel lontano 1770!
Scrive Lamartine: “Nel corteo tragico, quando qualche grido più violento la trafigge, le guance di Maria Antonietta, a volte pallide a volte accese, dimostrano come sia grande il suo strazio,  e come il sangue ancora le ribolla nelle vene. Nonostante la cura nel compiere la sua ultima toletta, l’abito sciupato e la biancheria grossolana sembrano dar maggior risalto a quel tramonto crudelissimo e di una sovrana. L’aria della giornata di ottobre, un po’ nebbiosa, agita sulle sue guance grige ciocche di capelli mal tagliati: i suoi occhi sono arrossati, ma senza lagrime, e alcuni osservano come essa, di tanto in tanto, si morda il labbro inferiore, come chi comprime e trattiene il lamento per un’acutissima sofferenza”.
Quando il carretto ebbe oltrepassato il Pont au Change e i quartieri popolari di Parigi, il contegno della folla dimostrò che l’ambiente era ben diverso. Gli spettatori erano raccolti in assoluto silenzio; si intuiva che essi provavano, se non pietà, almeno un sentimento di rispetto. Allora la fisionomia della regina riacquistò quella calma che poco prima era stata crudelmente turbata.
 

Stampa del tempo con la leggenda: "Maria Antonietta viene condotta pubblicamente al supplizio su un carretto, accompagnata dal carnefice e scortata dalla Guardia Nazionale".

A passo lento si percorre via Sant’Onorato. Il prete, che sta da un lato, si affanna vanamente per richiamare l’attenzione di Maria Antonietta alle sue parole di conforto, e alle sue preghiere; ma gli sguardo d lei, invece vagano sulle facciate delle case, si fermano su qualche iscrizione inneggiante alla Repubblica, e specialmente fissano le finestre dei piani superiori dalle quali sventolano delle piccole bandiere tricolori”.
Il popolo ritenne allora, e alcuni testimoni oculari l’hanno poi scritto, che l’attenzione di lei venisse richiamata da queste mostre pubbliche della Rivoluzione; invece il suo pensiero era ben altro. I suoi occhi ansiosamente cercavano, fra tante cose ostili, ma per lei ormai indifferenti, un segno di eterna salute: la casa dalla quale doveva discendere sul suo capo l’assoluzione del prete non giurato.
Il gesto sacerdotale, che lei sola intravvide, l’avvertì che la sua speranza era stata esaudita. Chiuse gli occhi, abbassò la fronte, raccogliendo l’anima devotamente in quella benedizione estrema; e non potendo fare il segno della croce, perché le sue mani erano legate, chinò il capo sul petto per tre volte. Gli spettatori si accorsero che nel suo intimo pregava con fervore, e rispettarono quell’anima prossima al grande trapasso. Poi sul viso della regina brillò un’intima gioia, e parve che i suoi lineamenti si rasserenassero per il restante del lugubre cammino.*

Quando si entrò nella vasta piazza della Rivoluzione, l’ufficiale che era alla testa di uno squadrone di gendarmi, diede ordine che si procedesse piegando verso il Pont

"La giornata del 16 ottobre 1793; la morte di Maria Antonietta" (Da un disegno del Monnet, inciso da Halman).

 Tournant; e vi fu una voluta sosta della funebre carretta davanti alla cancellata dei magnifici giardini delle Tuileries. La regina volse la testa da quella parte, riguardando, per l’ultima volta, quella che per lei era stato la reggia, cara e odiosa, delle sue vane speranze, della sua potenza e della sua profonda caduta. Tutto il passato le si affacciò all’improvviso, e le attanagliò l’animo in quell’ora di morte, e qualche lagrima cadde sui suoi ginocchi. Che cumulo di miserande rovine in quella brumosa luce autunnale! Ecco la carretta davanti alla ghigliottina. Il prete e l’esecutore aiutano la condannata a scendere, e la sostengono per i gomiti.
“Essa – scrive il Lamartine – salì con maestà gli scalini del supplizio, e per inavvertenza, così legata com’era, pose in fallo il piede, premendo quello del boia. “Scusatemi, signore – disse con gentilezza come fosse ad una cerimonia di corte; non l’ho fatto apposta!”. Poi si inginocchiò un istante, fece mentalmente una breve preghiera, e alzatasi esclamò: “Addio, figli miei; vado a raggiungere vostro padre!”.
Maria Antonietta, in quell’attimo di morte, non volle, come Luigi XVI, giustificarsi davanti al popolo, né cercar di commuoverlo con qualche grido disperato.
Sulla sua fisionomia non si leggeva l’anticipata beatitudine del giusto, che sicuro si avvia ai gaudi celesti, e che accetta fidente il martirio; bensì il disprezzo profondo per gli uomini e l’ansiosa impazienza di uscir presto da una vita piena di pene, abbandonando ai presenti i rimorsi per il delitto di quella morte.
Parve che una strana esitazione cogliesse il carnefice prima di dar lo strappo alla funicella della ghigliottina, e nell’attimo di attesa un brivido immenso percorse la piazza.
Rintronò cupo, nel tragico silenzio, il tonfo della lama: poi come per il re, come per i suppliziati maggiori o i più perfidi criminali, un’aiutante, ricoperto del camiciotto rosso, afferrò per i capelli la testa mozza, e fece un duplice giro sulla piattaforma, alzandola, livida e gocciolante sangue, per mostrarla agli spettatori lontani. L’altissimo grido di “Viva la Repubblica!” salutò la morta regina”.

*

Il carnefice mostra la testa di Maria Antonietta al popolo (Da una stampa del tempo).

Il Douban, nelle sue cronache “La demagogia nel 1793”, riferisce il seguente brano del “Diurnal”, che narra un tumulto seguito: “Appena avvenuta l’esecuzione un giovane si aprì con impeto il varco fra le file dei soldati, che facevano quadrato alla ghigliottina, e si diresse correndo verso l’angolo dove il sangue della regina era zampillato, bagnando il suolo; e curvatosi intrise il suo fazzoletto. La furia di quell’atto e iò contegno del giovane, fecero sollevare dei sospetti: lo si arrestò immantinente e fu perquisito da alcuni ufficiali. Aveva al collo una medaglia sulla quale erano incisi un fiordaliso e due spade incrociate. Il popolo si serrò attorno al disgraziato per ucciderlo, e ne avvenne un tumulto furioso. Difeso dagli ufficiali e aiutanti di campo, il giovane poté essere sottratto dall’ira della folla.
Era costui un gendarme di nome Maingot, e parve che fosse complice di un complotto che aveva lo scopo di salvare la regina mentre la si trasportava sulla piazza.
Venne processato. La stranezza del caso e le stesse dichiarazioni dell’accusato, lo salvarono. Disse che nel sangue della decapitata “aveva posto le sue scarpe e non il suo fazzoletto”. Per questo il Tribunale lo mandò assolto”.
“Furono pure arrestati, per ordine del Comitato di sicurezza generale, i due difensori della regina, perché si riteneva che fossero depositari di qualche secreto o di qualche trama contro la Convenzione, da lei confidati. Ma, nella stessa seduta del giorno sedici, quando si diede l’annuncio dell’avvenuta esecuzione, un membro del Comitato dichiarò che, dalle più rigorose ricerche e dagli interrogatori, nulla era risultato di compromettente. Anche i due avvocati vennero posti in libertà”.

*

“Così morì questa regina – scrive Lamartine – fatua e spendereccia nella prospera fortuna, sublime nell’infortunio, intrepida sul patibolo.

Maria Antonietta in un dipinto di Jean-Baptiste André Gautier-Dagoty del 1774 (Chateau De Versailles).


Essa non seppe né prevedere, né giudicare, né accettare la Rivoluzione, ma soltanto aizzarla e inviperirle col suo odio palese. Si isolò nella corte invece d’affidarsi al popolo, che ingiustamente rivolse contro di lei la rabbia con la quale cercava di scuotere l’antico regime. Tutti i tradimenti, tutti gli scandali di corte ebbero, in Francia, il nome di Maria Antonietta.
Essa, potentissima per la bellezza e per lo spirito sull’animo del re, l’avviluppò fatalmente in quell’onda di impopolarità che violenta si abbatteva su di lei, e lo trascinò per lo stesso suo amore, nella rovina comune.
Con una politica instabile, vacillante a tutte le impressioni dell’ora, a volte timida come chi è vinto, a volte invece temeraria come chi crede avere già raggiunto il successo, la regina non seppe né procedere a tempo, né a tempo indietreggiare; e così fra le molte incertezze, le contraddizioni e i turbamenti d’animo, finì col mestare nelle trame dei fuorusciti, tenendo mano anche alle insidie straniere.
la monarchia invecchiata trovò in lei una regina piena di fascini, ma politicamente dannosa; non ebbe il severo prestigio dell’antica autorità regia; e non era nemmeno la nuova sovrana che potesse conservare ed accrescere la sua grande popolarità dei primi tempi.
Maria Antonietta non aveva certo l’individualità energica e sana da imprimere un’orma personale ad una cadente monarchia. La scusa però il suo spirito un po’ leggero, ma pieno di grazia, la bella giovinezza adulata e inebriata da feste sfolgoranti.
Al tramonto poi, la sua figura si innalza e riceve una luce particolare di pietà e di martirio, anche perché seppe morire con vera dignità di regina.
La storia deve chinare il capo davanti al grande supplizio, pensierosa e piangente.
Sola contro tutti, sacra come madre, donna ormai inoffensiva, Maria Antonietta, poteva essere risparmiata; e commuove e rattrista l’imperversare bestiale di quel mattino del 16 ottobre, per le vie di Parigi, attorno a lei che si avviava alla morte.
Quel popolo che pur l’aveva accolta con frenetico entusiasmo vent’anni prima, le negò persino la tomba; e si può leggere ancora su un registro delle inumazioni, al cimitero della Madeleine: “Per la bara della vedova Capeto: 7 franchi”.
Ecco l’ultimo bilancio di una vita avventurosa di regina, ancora ricordata per un regno fastoso, per le brillanti cerimonie, per gli sperperi e anche per generosità munifiche; ecco la fine di una sovrana che aveva posseduto le regge di Versailles, Saint Cloud e Trianon.
Quando la Provvidenza vuole parlare agli uomini un linguaggio più rude, ma più efficace e ammonitore, di quello di Seneca e Bossuet, le basta scrivere un numero nel vile libro di un affossatore!”.